lunedì 26 dicembre 2011

SPETTRO DI SFIDUCIA, DISIMPEGNO E INDIFFERENZA


Il coordinamento PD di Valle Ufita sta facendo circolare un manifesto-appello, intitolato
 PER RESTARE NEL PD”, in preparazione di una grande assemblea dei militanti, per gli inizi di gennaio.
Nel documento si colgono disagio e amarezza: stati d’animo molto diffusi nell’elettorato del PD e di larga parte della Sinistra.
Da esperto di una situazione psicologica di questo tipo, sento di augurare ai compagni ed amici, protagonisti di questa iniziativa, di non lasciarsi travolgere dalla sfiducia e di non cadere, di conseguenza, nel disimpegno o, peggio ancora, nell’indifferenza.
I motivi del disagio sono certamente fondati, ma bisogna reagire con razionalità e voglia di superarlo.
Lo so, cari compagni ed amici, che molti di voi, rispetto a questa mia sollecitazione, saranno portati a dire: “Guarda chi parla! Ci viene a fare le prediche proprio chi può esser citato come prototipo del nostro stato d’animo!
Reagite pure come vi pare: è un vostro pieno diritto, perche ne avete tutte le ragioni.
Ciò che voglio sottolineare è l’assoluta necessità di dare concretezza ai sentimenti e ai principi che sono contenuti nel vostro appello, in direzione di un “percorso politico, culturale, sociale ed economico chiaramente alternativo a quello perseguito negli ultimi anni, nel nostro Paese”.
Bisogna bloccare il processo involutivo in corso e, per farlo, è chiaro che “non bastano i provvedimenti messi in atto finora dal Governo Monti”, come giustamente dite voi.
Per contrastare con efficacia “l’intento ideologico di far girare all’indietro la ruota della storia”, perseguito dalle forze conservatrici e dai poteri economici e finanziari, bisogna lavorare nella società, per l’affermazione di una diversa visione del mondo e della vita.
Questo impegno può esser esplicato in vari modi e sotto varie forme, indipendentemente dalla collocazione: importante è crederci!
E’ più che giusto, pertanto, che coloro i quali militano in un partito facciano sentire ai dirigenti  la loro voce, con forza, smettendo di inghiottire passivamente bocconi amari e indigeribili.
Nel Mezzogiorno e in Irpinia serve, ancora più che altrove, un impegno deciso e costante di questo tipo. Non si può fare finta di non capire che il prezzo più grosso e insopportabile della crisi -pilotata dai poteri forti- cade proprio su queste terre.
E’ da questi territori, perciò, che bisogna far partire un forte movimento di lotta, nutrito di pensieri emancipativi e di crescita.
E’ giunto il momenti di smetterla di cincischiare e piangersi addosso: tutte le persone che hanno veramente a cuore il futuro di questa realtà territoriale, dovunque e comunque collocate, aprano un confronto serrato sui fatti concreti.
Energie ce ne sono tante: nella società, nei sindacati, nelle associazioni professionali e del volontariato, negli strumenti di informazione, negli stessi partiti.
Ebbene, tutte queste energie, di fronte ad episodi drammatici come quelli della Irisbus e di tante altre aziende in chiusura, di fronte allo sperpero e alla svalutazione delle nostre migliori risorse naturali e umane, di fronte alla vanificazione continua di tutti i progetti infrastrutturali, da anni propagandati, ecc, trovino un punto di incontro e confronto, per ottenere risultati veri e dare vita ad una nuova classe dirigente. Coraggio, compagni!

lunedì 19 dicembre 2011

L’INCUBO DI UN BRUTTO FUTURO


- “Siamo in recessione: nel 2012 il Pil sarà di meno 1,6%, alla fine del 2013 ci saranno 800 mila  posti di lavoro in meno e la pressione fiscale supererà il 54% del Pil”. (Centro Studi Confindustria);
- “Il periodo buio non è finito: per l’economia di Eurolandia esistono rischi sostanziali al ribasso, ci sarà una inevitabile contrazione dell’economia a breve”. ( Mario Draghi, Presidente BCE);
-“ Il cammino per l’uscita dalla crisi è molto lungo” .(Presidente UE);
-“La situazione è anche peggio di quello che ci aspettavamo. Siamo in recessione”.  (Ministro Passera)
- “ A Novembre il carrello della spesa (i prodotti acquistati con più frequenza, fra cui cibo e carburante) segna un aumento annuo del 4,2%” (Istat);
_” Il debito pubblico a ottobre è salito a quota 1909,19 mld, rispetto ai 1813,7 mld di settembre”.(Bankitalia).
Ogni giorno, sfogliando i giornali e accendendo il televisore, apprendiamo notizie di questo tipo ed anche peggiori. E’ diventato un incubo!
Lo scenario sociale ed economico che veniamo quotidianamente a conoscere attraverso gli strumenti di informazione provinciali non è certamente meno traumatizzante.
Non c’è giorno che non si abbia notizia di qualche chiusura di azienda, di licenziamenti di lavoratori, di smantellamento di qualche ospedale, tribunale o altro sevizio, di non pagamento di salario a gruppi di lavoratori, di incidente grave sui luoghi di lavoro, ecc.
Lo stato del nostro Paese sembra rassomigliare a quello di una persona gravemente ammalata, che, dopo una trasfusione di sangue, manifesta qualche sintomo di miglioramento, per poi precipitare in una condizione sempre peggiore.
Rispetto a questo andamento, i facili e superficiali ottimismi mi sembrano ridicoli e i pessimismi esasperati mi sembrano  inopportuni e sbagliati.
Ciò che serve è un’analisi rigorosa e critica della realtà, per trovare una bussola, capace di indirizzare le istituzioni, il mondo imprenditoriale e la società civile verso un percorso alternativo a quello che ci ha portato in questa situazione.
Le cose nuove da fare sono molte, nei più diversi campi, ma è assolutamente indispensabile partire dai punti nodali della crescita e del lavoro.
Non si uscirà dalla crisi se non si troverà il modo di far crescere il sistema produttivo e non si promuoverà l’occupazione.
Per realizzare questi obiettivi è chiaro che servono ingenti risorse finanziarie, ma non è più possibile, come è avvenuto finora, andarle a prelevare in fondo al “barile”. Non ce ne sono più!
Bisogna, allora, andare a prenderle dove ci sono: in quel dieci per cento delle famiglie italiane che detengono il 50% della ricchezza nazionale, nel mondo della evasione fiscale e nella pletora degli enti inutili. Non c’è altra strada!
E poi bisogna spendere bene e con oculatezza i soldi: gli investimenti vanno fatti per far crescere la produzione, per valorizzare le risorse migliori e per creare lavoro.
Questo vale per tutta l’Europa, per tutta l’Italia e soprattutto per il nostro Mezzogiorno.
Credo che sia giunto il momento, anche in Irpinia, di voltare decisamente pagina.
Basta, perciò, con le scaramucce per l’occupazione delle poltrone e si apra un confronto serrato per fare e attrarre investimenti seri e valorizzare le nostre potenzialità!

domenica 11 dicembre 2011

CRISI PILOTATA E MANOVRATA


La crisi economica che sta affliggendo l’Italia, l’Europa e buona parte del mondo occidentale non è stata prodotta dall’impatto violento di un asteroide con il nostro pianeta né da uno tsunami globale, ma dal sistema capitalista, che ha esasperato il liberismo, il mercato senza regole, le speculazioni finanziarie e la ricerca più spregiudicata del profitto.
Per capire lo stato delle cose, è giunto il momento di aprire gli occhi e non rincorrere fantasmi: solo nella logica di un sistema così disumano e vessatorio possono essere spiegate certe azioni delle agenzie di rating , i comportamenti ambigui delle istituzioni europee, le pretese egoistiche di Merkel e Sarkozy, le continue manovre da salasso di alcuni governi nazionali, a cominciare dal nostro.
La crisi economica è pilotata e manovrata da coloro che l’hanno generata, nell’intento non solo di fare ulteriori e sempre maggiori profitti ma anche e soprattutto di fare girare all’indietro la ruota della storia, attraverso la cancellazione dei diritti conquistati dalle classi più deboli, in decenni e decenni di lotte.
L’obiettivo di fondo è quello di rigenerare il regime feudale, in forme moderne e adeguate al nuovo sistema di vita.
In questo quadro, la vera politica ha perduto la sua funzione edificante, emancipatrice e regolatrice ed è stata sostanzialmente sottomessa, anche attraverso sporchi ricatti, agli interessi dei nuovi feudatari.
E così una pletora di vassalli, collocati qui e là, nell’apparato amministrativo, negli enti gestionali, nel variegato sistema di potere, nel sistema informativo  lavorano per conto dei loro padroni, gettando pure veleno e fango sulle istituzioni sane, sull’etica civile e sulla buona politica.
Di qui il trionfo del trasformismo, del qualunquismo, del populismo, del personalismo, ecc.
Il tutto è stato reso più facile anche dallo snervamento che si è prodotto, negli ultimi anni, nella sinistra, che, nel tentativo di scrollarsi di dosso macchie, scorie e fardelli di errori, ha spesso rinunciato a coltivare i propri valori e ideali, convertendosi al più superficiale nuovismo e mettendosi addirittura a scimmiottare malamente gli avversari.
In questo processo politico piuttosto paludoso e alquanto nebuloso, i nuovi despoti, quando non si sentono sufficientemente garantiti nella realizzazione delle loro perniciose pretese, non esitano a scendere direttamente in campo, per la gestione diretta del potere.
Il caso italiano, nel merito, è emblematico e, purtroppo, c’è da temere che il fenomeno non finisca con l’attuale uscita di scena del Berlusca da Palazzo Chigi.
Non è un caso che, di tanto in tanto, oltre all’ex magnate, nello scenario politico, si sentono scalpitare anche altri supermiliardari.
Se le cose stanno così ed è difficile contestare la valutazione dei fatti, tutte le persone di buon senso non possono continuare ad assistere con indifferenza ai processi in atto.
Cara Sinistra, è chiaro ed evidente che, in un quadro di questo tipo, ci sono ampi spazi per una politica fondata sui valori e sugli ideali tipici della tua complessa e variegata storia.
Non serve guardare nostalgicamente all’indietro, ma è altrettanto sbagliato sradicare i fondamenti della propria identità.
Ricordiamoci sempre che, rinunciando ai fondamentali principi identitari, si finisce inevitabilmente per fare il gioco degli avversari.

lunedì 5 dicembre 2011

RICETTE NUOVE CONTRO LA CRISI


I provvedimenti governativi che si preannunciano, per fronteggiare la crisi, non suscitano entusiasmo. Non sembra, infatti, che si voglia imboccare una strada veramente nuova, rispetto a quella percorsa fino ad ora.
Naturalmente c’è da augurarsi che gli strumenti di informazione stiano male interpretando le intenzioni del Governo, ma se, ancora una volta, si dovesse infierire su pensioni, prime case, servizi  e costo della vita sarebbe un tragico copione già abbondantemente sofferto.
E’ chiaro che, nei momenti difficili, tutti devono predisporsi a fare sacrifici e ad avere grande senso di responsabilità, ma questo comportamento è possibile chiederlo alle persone, che già hanno fatto tanti sacrifici, solo se si comincia a risanare seriamente il marcio esistente nel sistema di potere, a incidere su grandi patrimoni e rendite, a colpire gli eterni privilegiati.
Non si tratta solo di rispondere alle più elementari esigenze di equità, ma anche di estirpare dal tessuto sociale i mali più nefasti. 
La malattia è grave ma non è inguaribile: occorre solo cambiare ricetta!
Se il nuovo governo non si muoverà in questa direzione si prolungherà l’agonia del Paese, non si uscirà dalla crisi e si costruiranno pure le condizioni per una rivincita di coloro che ci hanno fatto precipitare nel marasma.
La falcidiazione di pensioni, salari e stipendi, riducendo la capacità di spesa e consumo, deprime la produzione e la crescita e fa cadere nella recessione.
Non c’è bisogno di essere dotati di grandi competenze economiche per capirlo!
E’ giunta l’ora, perciò, di cambiare rotta!
In Italia ci sono migliaia e migliaia di enti inutili e di società in house, che sprecano ingenti risorse, bypassano le più normali regole della pubblica amministrazione, non rispettano i minimi requisiti di trasparenza, ecc.
Si tratta di una selva di carrozzoni la cui missione non è chiara e che, spesso, si sovrappongono pure alla funzione degli enti elettivi.
A che cosa bisogna aspettare per sfoltire drasticamente questo bosco e recuperare le risorse  per la crescita del Paese?
Si vuole continuare a far finta di non sapere che in questo ginepraio di enti, spesso, operano i peggiori manutengoli del sistema di potere, che sbafano soldi della collettività?
Nei giorni scorsi è stato pubblicato un rapporto della Trasparency International sulla corruzione nel mondo. L’Italia, su una lista di 183 Paesi, è collocata al 69° posto, a pari merito con il Ghana, la Macedonia e le isole Samoa. Non è una situazione edificante!
Quando si vuole fare qualcosa per abbattere il livello di corruzione nel nostro Paese, diminuendo, così, i costi pubblici e, quindi, il debito? Le risorse recuperate sarebbero essenziali per l’economia virtuosa che investe e crea lavoro.
Tutti sanno che nel nostro Paese ci sono più di cento miliardi di evasione fiscale all’anno e
circa cinquecento miliardi di economia nera, spesso in mano alla malavita organizzata, che metà della ricchezza nazionale sta nelle mani del 10° delle famiglie.
Perché non si interviene decisamente in questi campi, anziché aumentare l’Iva, colpire le pensioni, tagliare i servizi, ecc?
Per agire in questa direzione non bisogna essere rivoluzionari, basta solo avere buon senso e voler bene al Paese.

venerdì 2 dicembre 2011

ATTENTI AL MARCHIONNISMO!


Dalla storia e dalla vita quotidiana ci vengono molti esempi di presunzione, supponenza e delirio di onnipotenza.
Quando atteggiamenti di questo tipo provengono dai detentori o gestori del potere politico ed economico, i rapporti sociali risultano gravemente compromessi.
In questa fase delicata della vita del nostro Paese, questo vizio deleterio sta assumendo, purtroppo, proporzioni devastanti, nelle sfere alte del potere
Uno degli aspetti emblematici del berlusconismo, infatti, è il convincimento che il “capo”possa fare tutto quello che vuole, senza alcun rispetto delle regole e dell’etica civile e senza dover dare conto a nessuno del proprio operato.
Il massimo dirigente della Fiat, Sergio Marchionne, da un bel po’ di tempo, si è messo, anche lui, su questa scia, determinando guasti economici e tensioni sociali enormi.
La disdetta dei contratti e degli accordi sindacali da parte della Fiat, a partire dal primo gennaio 2012, è un atto dettato da un vero e proprio delirio di onnipotenza, perché intende imporre a tutto il sistema economico italiano il modello contrattuale fatto passare, con il ricatto, a Pomigliano.
Si tratta di un comportamento irresponsabile e violento, non solo perché calpesta, unilateralmente, accordi collaudati e diritti elementari e indispensabili, ma anche perché non tiene in alcun conto la situazione critica, che sta vivendo il nostro Paese.
Il rischio grave è che questo modo d’agire, se non viene prontamente e decisamente fermato, si allarghi a tutto il mondo imprenditoriale.
In altre parole, il marchionnismo incombe pesantemente sul mondo del lavoro, con le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
In questa logica, la pratica della chiusura delle fabbriche, come è avvenuto, ad esempio, con l’azienda Fiat di Termini Imerese e con la Irisbus della Valle Ufita, diventerebbe una cosa normale, lo spostamento all’estero di attività imprenditoriali assumerebbe aspetti sempre più scontati, il ritmo di lavoro, contrassegnato da più flessibilità, turni più duri, pause tagliate, ecc, diventerebbe sempre più asfissiante.
C’è solo da augurarsi che tutte le organizzazioni sindacali e tutte le forze politiche prendano,  finalmente, coscienza della pericolosità, insita nella filosofia (?) di Marchionne e che l’attuale governo e segnatamente i nuovi ministri del lavoro e dello sviluppo economico facciano la loro parte, in difesa dei diritti sacrosanti dei lavoratori e del Paese, a differenza di quello che, fino a qualche settimana fa, hanno fatto Berlusconi, Sacconi, Romani, ecc.
Bisogna sapere che certe logiche e filosofie, devono essere contrastate in tempo, se si vuole che non producano disastri nello stesso modo di pensare della gente comune.
Ciò che avvenne nell’estate 2010 a Pomigliano ha fatto scuola, perché allora, anche a sinistra, da parte di vari esponenti, si sottovalutò la portata dell’azione di Marchionne e si ritenne che si trattasse di una eccezione.
Le filosofie prevaricatrici, che non rispettano gli interlocutori, invece, non devono essere mai sottovalutate. Nelle fasi difficili è certamente necessario che tutti siano disposti a fare sacrifici e a rinunciare, temporaneamente, anche a qualche diritto, ma niente è accettabile per imposizione egoistica e unilaterale. Senza dialettica, confronto e rispetto tra le parti non c’è democrazia e non c’è futuro per il Paese. Attenti, perciò, al marchionnismo!

martedì 22 novembre 2011

RIUNIFICARE L’ITALIA


La costituzione del Ministero della Coesione Territoriale, nel governo Monti, è un segnale di notevole importanza, che non va sottovalutato.
Una delega con questa dicitura esisteva già nel governo Berlusconi, affidata al ministro Fitto,, ma nessuno se ne è mai accorto, perché, in quel governo, la politica dello squilibrio territoriale, coperta dalla retorica del federalismo, l’ha fatta da padrona.
Non è un caso che l’ex ministro leghista, Calderoli, proprio rispetto alla costituzione di questo Ministero, abbia immediatamente “sparato” parole velenose: ”siamo alla notte fonda, sono felice di votare contro la fiducia”.
Non credo che queste parole, a cui, dopo l’intervento, in aula, del Presidente del Consiglio, ne sono seguite altre, altrettanto pesanti, debbano suscitare molta meraviglia; dai leghisti, soprattutto ora che hanno scelto di eccitare il proprio elettorato, dall’opposizione, bisogna aspettarsi di tutto e di più.
Quello che i cittadini italiani, a cominciare dai meridionali, devono cogliere è il messaggio politico insito nella scelta di avere, a 150 anni dall’unità del Paese, un Ministero di questo tipo.
Dopo tanti errori, fallimenti e prevaricazioni, nei confronti del Mezzogiorno, la costituzione di questo Ministero può esser un’occasione importante per il futuro del Paese!
Altro che la tremontiana banca del Sud !
Non è il caso, comunque, di farsi molte illusioni, perché siamo in un periodo di crisi profonda e perché il governo Monti sarà costretto a vivere quotidianamente sotto la spada di Damocle berlusconiana, ma sarebbe sbagliato non fare ogni sforzo, per avviare un nuovo corso nella politica, in direzione di un processo di coesione territoriale.
Il Sud ha dato tanto al Paese, nelle guerre e nelle fasi migratorie, e continua a farlo nelle  attuali missioni di pace, nei servizi di sicurezza, nel mondo del lavoro, ecc, perciò va messo, una buona volta e per sempre, sullo stesso piano della altre regioni d’Italia.
Bisogna certamente estirpare nel Mezzogiorno la “mala pianta” della gestione clientelare del potere, il pigro attendismo, lo spirito rinunciatario, che hanno fatto sempre tanto comodo ai poteri dominanti, ma, ad un tempo, bisogna anche contrastare con vigore e decisione ogni forma di politica divisoria e prevaricante.
L’impegno nazionale del nuovo governo dovrebbe, innanzitutto, essere volto a:
- recuperare i fondi FAS, che il governo Berlusconi, a trazione leghista, ha sottratto alle aree sottosviluppate del Sud, per soddisfare le pretese elettoralistiche bossiane;
- mettere a disposizione la quota di risorse finanziarie nazionali, per utilizzare tutti i fondi europei, che finora sono andati perduti proprio per la scelta scellerata del nostro governo di non fare la sua parte;
-riequilibrare in maniera rigorosa la ripartizione dei fondi nazionali, per al realizzazione di opere pubbliche, infrastrutture e servizi.
C’è tanto altro da fare per attivare un processo di coesione territoriale, ma si comincino a fare almeno le cose indispensabili.
Se il governo tecnico che si è costruito desse avvio ad un processo di questo tipo si classificherebbe come il governo più politico ed equo della storia italiana.
Non è facile immaginare una cosa di questo tipo, ma la creazione di un Ministero di Coesione Territoriale e l’uso della parola coesione, utilizzata da più ministri, suscitano qualche speranza.

domenica 13 novembre 2011

NON E’ FACILE RICOMINCIARE


La fine del governo Berlusconi sembra segnata, anche se non sono affatto da escludere manovre perniciose e colpi di coda dell’ultima ora.
L’evento, vista la situazione in cui siamo arrivati, deve essere certamente salutato con sollievo, ma non mi sembra che ci siano le condizioni per essere ottimisti ed immaginare l’avvio immediato di una rosea stagione. Il Paese, in questi anni, non è andato solo in ginocchio sotto l’aspetto economico e sociale, ma è precipitato anche in una palude etica e mentale, da cui sarà molto faticoso uscire.
La crisi di sistema, che ha investito tutto il mondo capitalista occidentale, in Italia, ha assunto un aspetto devastante, perché si è intrecciata con un’azione politica distruttiva della morale, della regole, del senso civico, della democrazia.
Il lavoro da fare, pertanto, non dovrà riguardare solo il campo economico, ma anche quello civile, etico, culturale. La strada per ricominciare, perciò, non è facile trovarla e neppure percorrerla, perché i macigni ostativi disseminati in questi anni sono tanti.
Per uscire dal pantano non bastano salvagenti rattoppati, ma serve una rivoluzione culturale, capace di mettere in discussione l’intero sistema di vita, costruito dal mercato senza regole, dalla finanza spregiudicata, dal liberismo sfrenato, che, in Italia, attraverso il conflitto di interessi tra affarismo e potere politico, ha  assunto aspetti patologici.
E così, oggi, l’intero Paese sembra trovarsi nelle condizioni di un territorio colpito da una devastante calamità naturale.
Bisogna, pertanto, fronteggiare l’emergenza, impegnarsi nel risanamento, attivarsi nella ricostruzione. Si tratta di un’azione molto complessa, che richiede senso di responsabilità, spirito di sacrificio e voglia di cambiamento.
Il popolo italiano ha dimostrato, in molte occasioni, di avere le capacità di liberarsi dai lacci e  imboccare un nuovo percorso.
Le recenti prese di posizione del mondo imprenditoriale, commerciale, cooperativo, sindacale, bancario, ecc, rispetto alla crisi e al governo, testimoniano che anche i soggetti più irretiti dal sistema di potere, sono riusciti ad aprire gli occhi.
Ora spetta al mondo politico il compito di saper interpretare tutti i messaggi che vengono dalla società e trovare la forza di riscattarsi dai ritardi e dalle negligenze.
E’ certamente opportuno verificare se ci sono le condizioni per la costituzione di un governo di salvezza nazionale, per fronteggiare l’emergenza, ma non credo che sia questa la scelta decisiva, per cambiare le cose. Onestamente non credo nemmeno che serva la ricerca di personaggi miracolosi, per avviare un nuovo corso.
Servono poche cose, chiare e decisamente alternative, rispetto  a quelle messe in atto finora.
In campo economico bisogna puntare sul lavoro e sulle attività produttive e di largo impatto sociale, ricercando le risorse attraverso la lotta all’evasione fiscale, il prelievo sui grandi patrimoni, la redistribuzione delle ricchezze, in senso egualitario.
In campo etico bisogna ripristinare il rispetto delle regole, della legalità, dello Stato.
In campo sociale bisogna puntare sulla formazione, sulla ricerca, sulla valorizzazione delle migliori risorse ed energie, nel rispetto dei diritti di tutte le persone.
In campo politico bisogna ripristinare un rapporto proficuo tra cittadini e loro rappresentanti, cambiando la legge elettorale e risanando istituzioni e sistema di potere.

giovedì 10 novembre 2011

LA LEZIONE DELLA VICENDA IRISBUS


Quando scoppiò la vicenda della IRISBUS, su questo giornale, scrissi un articolo nel quale sostenni che, sul problema, i politici irpini venivano messi alla prova.
Mi permisi anche di dare qualche suggerimento e sollecitare un impegno ed uno sforzo straordinario di tutti, a prescindere dalla collocazione politica.
Lo feci nella consapevolezza della gravità della situazione.
Nel corso di questi mesi, la lotta tenace dei lavoratori e di vari loro sostenitori ha alimentato qualche speranza, ma, alla fine, le cose sono andate male, perché il potere politico, a cominciare dal governo nazionale, in sostanza, ha lasciato all’azienda l’assoluta libertà di fare tutto quello che voleva.
La prova, dunque, è risultata negativa e fallimentare  non solo per i politici irpini ma anche per tutto il sistema politico italiano.
Ancora una volta il potere economico e padronale ha dettato legge e ha ridotto la politica ad un sistema subalterno.
A questo punto sarebbe giusto e auspicabile che tutti coloro che sono venuti a fare la “passerella” davanti ai cancelli della fabbrica traessero le dovute conclusioni: servirebbero, se non altro, a dimostrare la sincerità (?) dei loro atti, in merito al problema.
A non restare indifferenti e passivi, rispetto alla conclusione drammatica della vicenda, dovrebbero essere soprattutto i rappresentanti politici irpini.
Bisogna avere la consapevolezza, infatti, che, dopo la chiusura della IRISBUS, la vita del nostro territorio, se non ci saranno immediate correzioni, imboccherà un corso molto più disagiato e triste, rispetto a quello perseguito negli ultimi decenni.
Non è, pertanto, augurabile che si perda tempo a disquisire su questa o quella scelta fatta dai lavoratori e dal sindacato: oggi tutti i cittadini irpini, a cominciare dai politici e dai soggetti che svolgono ruoli istituzionali, devono sentirsi impegnati a salvare e rafforzare il processo industriale del nostro territorio.
Non si può e non si deve tornare indietro!
Si smetta, perciò, di perdere tempo sulla gestione del potere e sulla distribuzione delle poltrone e si riapra un confronto serrato sulla valorizzazione delle nostre risorse e potenzialità.
Ritorni la vera Politica, quella capace di indicare un percorso non solo per le nostre terre, ma anche per l’intero Mezzogiorno.
Scrolliamoci di dosso tutte le arretratezze mentali, i ritardi culturali, i pesi del vecchio sistema di potere e mettiamo in campo idee e proposte.
Bisogna aprire una robusta vertenza, capace di coinvolgere l’intera società, per costringere tutte le istituzioni, a cominciare dal governo nazionale, a misurarsi su cose concrete.
Nessun capannone, nessun polo industriale attrezzato, a cominciare da quello della IRISBUS, deve essere lasciato in abbandono: il governo e tutte le istituzioni hanno il dovere di verificare tutte le proposte.
Bisogna trovare il modo per richiamare sul nostro territorio la venuta di tutte le aziende possibili. E’ possibile farlo; non è una fantasia! L’ho direttamente sperimentato da parecchio tempo, senza trovare grande ascolto.
Ora non c’è più tempo da perdere! E’ inaccettabile che, ogni anno, migliaia di imprenditori lascino l’Italia per andare  all’estero e la politica italiana non faccia niente per invertire questo processo. Il Mezzogiorno ha tutti i titoli per diventare un’area appetibile, per investimenti produttivi.

mercoledì 2 novembre 2011

DOVE STA LA VERA VIOLENZA


Dopo i tafferugli e le azioni violente, messe in atto, a Roma, dai black  bloc , in occasione  della manifestazione internazionale degli “indignati”, si è scatenata una gara tra i politici, i giornalisti, i cittadini benpensanti(?),  per trovare le parole di condanna più dure, nei confronti degli attori della violenza.
Che i protagonisti di quella barbara e sciocca violenza debbano essere aspramente condannati è un fatto logico e scontato:
1-    perché la violenza in sé è sempre sbagliata, soprattutto se non ha un carattere chiaramente liberatorio, riconosciuto dalla maggioranza della popolazione;
2-    perché la violenza di sabato 15 ottobre si è consumata contro persone senza colpe e a danno di una pacifica manifestazione di protesta, contro le ingiustizie del mondo;
3-    perché, in sostanza, quella violenza ha avuto un carattere e un intento mediatico e pubblicitario, perfettamente rientrante nello schema di vita dei poteri forti e vessatori.
Rispetto a questo stato di cose, sarebbe doveroso, però, porsi qualche domanda:
- quella dei black bloc è l’unica e la peggiore violenza in atto, oggi, in Italia e nel mondo?
- che cosa bisogna fare, perché emerga, nella coscienza popolare, la spietata e camuffata violenza, esercitata quotidianamente sulla gente comune da buona parte dei poteri forti?
- che cosa fanno i tanti cultori (?) dell’ordine e della pace sociale, per arginare il sistema politico ed economico, che, con inaudita violenza, genera tante ingiustizie e divisioni, nella società?
Personalmente queste e tante altre domande me le sono poste da molti anni e sono arrivato alla conclusione che la vera e più feroce violenza sta nel sistema di potere economico e politico che domina i processi di vita, nel mondo.
C’è bisogno di fare qualche esempio?
Sul pianeta terra, centinaia di migliaia di persone muoiono quotidianamente di fame, di sete, di malattie, perché una cerchia ristretta di speculatori ha sottoposto ai propri interessi e profitti l’esistenza dell’intera umanità.
La stessa vita sulla terra è messa in pericolo da un sistema produttivo e consumistico, impiantato sullo sfruttamento spasmodico e assurdo di tutte le risorse e sull’inquinamento dell’ambiente.
In Italia, ogni anno, più di 500 miliardi di euro vengono sottratti allo Stato e alla collettività, attraverso l’evasione fiscale, il lavoro nero, i loschi traffici della malavita organizzata, con conseguenze sempre più disastrose sui servizi e sulla qualità della vita della popolazione.
Nella vita quotidiana migliaia e migliaia di cittadini perdono il posto di lavoro, vedono messi in discussione i loro più elementari diritti, vengono  plagiati e inquinati da un vento informativo e culturale(?) , pilotato da un sistema di potere onnivoro.
In questi ultimi mesi, Marchionne e similari stanno chiudendo fabbriche e buttando in mezzo alla strada migliaia di lavoratori. Pensiamo alla IRISBUS!
Serve continuare nella rassegna delle porcherie? Non mi sembra necessario.
Piuttosto mi pongo la seguente domanda: non è questa la più schifosa delle violenze?
Essendone pienamente convinto, mi permetto di chiedere ai tanti cultori dell’ordine e della pace sociale, che appaiono tanto severi nei confronti delle legittime manifestazioni di protesta: perché tenete gli occhi chiusi rispetto alla violenza dei poteri forti?

mercoledì 26 ottobre 2011

FERROVIA NAPOLI-BARI CHE SIA LA VOLTA BUONA!


La Commissione Europea ha inserito la ferrovia di alta capacità Napoli-Bari nella lista dei progetti prioritari, relativi alle grandi reti di trasporto.
Si tratta di una decisione di grande importanza, per le aree interne, per il Mezzogiorno, per l’intero Paese.
Se, poi, si prendono in considerazione anche le altre opere inserite nel piano ed i fondi europei, destinati alla loro realizzazione, non si può che esprimere un giudizio sinceramente positivo, soprattutto in considerazione del fatto che, da anni, il governo del nostro Paese si muove in ben altra direzione.
Pensiamo, per un attimo, “a tutte le altre faccende in cui appare affaccendato” il nostro presunto “Unto del Signore“e a tutte le sistematiche rapine fatte ai fondi FAS, destinati, in larga parte, al Mezzogiorno, per appagare gli appetiti leghisti!
Per i meridionali, apprendere, in questo quadro, che il piano UE prevede per l’Italia oltre 15 opere infrastrutturali, per circa 31,7 miliardi di euro, e che tra le opere, oltre alla ferrovia
NA-BA, vi sono anche i collegamenti ferroviari Napoli-Reggio Calabria e Messina-Palermo, non può che essere motivo di grande piacere e attenzione.
Non escludo che il mio giudizio positivo sulla vicenda possa anche dipendere
dal ricordo del lavoro svolto sul problema, durante la mia esperienza senatoriale, tuttavia credo che il fatto in sé meriti di essere preso  oggettivamente in grande considerazione.
Mi auguro che, questa volta, tutta la classe dirigente, a cominciare da quella irpina, approfitti dell’occasione che viene offerta dalla Commissione Europea e non volti gli occhi in altra direzione, come avvenne nel 2003, allorché, in Senato, riuscii a far approvare, proprio su questo tema del raccordo ferroviario Campania-Puglia, un ordine del giorno, all’unanimità. Tentai pure, a seguito di quel risultato, di attivare sul territorio un’azione collettiva, in merito al problema, con il sostegno del Sen Paolo Brutti, capogruppo dei DS nella Commissione Trasporti, ma anche quella iniziativa rimase senza ascolto.
Oggi le cose devono andare diversamente! Bisogna rendersi conto che il potenziamento delle grandi infrastrutture nel Mezzogiorno, a cominciare dalla ferrovia di alta capacità NA-BA, potrà inserire efficacemente l’Italia nel corridoio Baltico-Adriatico, facendola diventare protagonista europea dei processi economici e commerciali.
Il Mezzogiorno potrà, in questo modo, diventare una risorsa per l’Italia e per l’Europa e cessare di essere un peso.
Una risposta forte e alternativa al leghismo bossiano, egoista e razzista, non può essere data né dalle ipocrite sceneggiate, alla Micciché, né da un ottuso leghismo meridionale, ma da una politica forte, nutrita di idee innovative, programmi concreti e comportamenti sani.
L’Europa e il Governo italiano devono fare la loro parte, sul terreno delle infrastrutture, dei servizi, della sicurezza, del lavoro e del superamento degli squilibri di base, ma i meridionali non possono rimanere passivamente in attesa.
La classe dirigente meridionale esca una volta per sempre dalla palude del clientelismo di tipo feudale e si ispiri all’azione dei nostri padri e nonni emigranti, allo spirito di sacrificio dei nostri vecchi contadini, braccianti ed operai, alla vivacità culturale ed operativa dei nostri giovani, all’intensità umana delle nostre mamme, sorelle e figlie.

martedì 18 ottobre 2011

SE VIENE CALPESTATO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA


Non possono essere definiti democratici quei Paesi in cui viene sistematicamente calpestato il principio di uguaglianza: la democrazia non può essere ridotta ad una formalità o, peggio ancora, ad una farsa, recitata nelle istituzioni e sui media dai detentori del potere.
In uno Stato veramente democratico, il rispetto della persona e la garanzia di pari diritti ed opportunità per tutti i cittadini, devono essere al primo posto, sotto tutti i punti di vista.
Si possono discutere e confrontare le forme politiche per il raggiungimento di tali obiettivi, ma non sono assolutamente accettabili la messa in discussione e la vanificazione del principio di eguaglianza.
La storia umana, segnatamente dal XVIII secolo in poi, è stata caratterizzata da una forte dialettica culturale e politica, accompagnata da lotte decise, per il riconoscimento e l’affermazione di tale principio.
Che l’eguaglianza dei cittadini sia espressamente sancita nella Costituzione Italiana e in quelle di buona parte dei Paesi avanzati è un fatto di grande importanza.
Preoccupante è invece la tendenza sempre più sfacciata, anche nei paesi formalmente democratici, a cominciare dal nostro, a vanificare tale principio, a favore del mercato, del profitto e del potere. Per effetto di questa tendenza, sul pianeta stanno vistosamente aumentando le differenze tra i popoli e all’interno dei popoli, si stanno moltiplicando le ingiustizie sociali, si stanno alterando i rapporti all’interno delle comunità. Ha preso il sopravvento la politica classista, caratterizzata non solo dallo sfruttamento dei lavoratori da parte dei padroni, ma anche e soprattutto dalle speculazioni finanziarie, in danno del sistema produttivo e della vita normale della società.
La globalizzazione del mercato, senza la globalizzazione dei diritti, ha innescato un processo competitivo devastante per i ceti più deboli, per la tenuta degli equilibri sociali e per la  sicurezza ambientale. La cosiddetta modernizzazione del sistema sta cancellando diritti faticosamente conquistati, attraverso decenni e decenni di lotte.
Se, nel nostro Paese, si leggono i rapporti degli istituti di ricerca e di statistica non si può che rimanere sconcertati.
Negli ultimi anni sono saltati tutti gli equilibri: nella distribuzione della ricchezza, nel mercato del lavoro, nel sistema di vita del territorio.
Il principio di uguaglianza è stato calpestato a tutti i livelli ed in ogni settore della vita civile.
Persino nelle aule giudiziarie, dove permane la scritta “La legge è uguale per tutti”, è difficile  garantire questo sacrosanto principio. E così le carceri sono finite per essere affollate solo da giovani drogati, immigrati e ladruncoli disperati, mentre i ricchi e i potenti, grazie a schiere di avvocati ben pagati e ad una selva ingarbugliata di norme legislative ambigue, appositamente prodotte, riescono sempre a farla franca.
Che dire del sistema fiscale e degli appalti, della pratica dei concorsi e delle assunzioni nei luoghi di lavoro? A prevalere sul merito e sul rispetto delle regole sono sempre il favoritismo, il clientelismo, la raccomandazione, la corruzione!
Su questa strada il futuro del Paese è in forte pericolo.
Chi aspira a porsi come vera alternativa a questo sistema, la smetta di crogiolarsi nelle manovre e negli inciuci e riparta dal sacrosanto principio dell’eguaglianza.

domenica 9 ottobre 2011

L’IRPINIA NON DEVE MORIRE


La situazione politica, economica e sociale dell’Irpinia si aggrava ogni giorno di più e, allo stato, non si intravedono spiragli di luce, anche perché il quadro nazionale, è, anch’esso, piuttosto preoccupante.
In mancanza di una svolta politica decisa, la situazione rischia di precipitare rovinosamente.
Rispetto ad uno scenario di questo tipo servirebbe uno sforzo combattivo e unitario delle migliori energie del territorio.
L’appello quotidiano alla coesione, all’unità e al senso di responsabilità, rivolto dal Presidente  Napolitano all’intero Paese, vale ancora di più per un territorio martoriato, come il nostro.
Se non si riesce a mettere da parte egoismi e divisioni e a fare uno sforzo di confronto e collaborazione, nelle situazioni di emergenza, quando è pensabile poterlo fare?
Visto lo stato delle forze politiche in campo e visti i soggetti che la fanno da padroni, non è facilmente ipotizzabile l’avvio di una stagione di confronto e coesione. 
Non c’è da farsi illusioni, ma non bisogna nemmeno cadere nell’assoluto scetticismo, perché nella società e nelle stesse forze politiche non mancano le energie positive e le persone di buon senso.
Bisogna solo che si rompano gli schemi e si esca dai consunti binari della gestione del potere,  per analizzare senza paraocchi la realtà, individuare una bussola e costruire un percorso chiaramente alternativo, con spirito unitario.
So che questo è più facile dirlo che farlo, ma se si vuole uscire dall’imbuto, nel quale siamo precipitati, le persone di buon senso non possono continuare ad assistere passivamente alla chiusura delle fabbriche, allo smantellamento degli ospedali, dei tribunali e dei servizi civili e sociali, all’aumento della disoccupazione, alla desertificazione del territorio.
A questo punto, sento il bisogno ed il dovere di rivolgere un caloroso appello a tutte le persone, che vivono con ansia e preoccupazione lo sfascio a cui sta andando incontro la nostra terra, affinché escano dallo stato di rassegnazione e passività e mettano in campo idee  ed iniziative, capaci di suscitare un risveglio collettivo.
Lo stato di emergenza in cui ci troviamo impone a tutti senso di responsabilità e spirito costruttivo, per cui è necessario non rimanere prigionieri delle manie personalistiche.
I gestori del potere, se non avvertono il bisogno di dare una svolta alla loro azione, continuino pure a cuocere nel loro brodo; importante è che le migliori energie della società attivino un movimento di ricerca e confronto, finalizzato a costruire una proposta di crescita e sviluppo del nostro territorio.
L’Irpinia ha risorse e potenzialità rilevanti. Si tratta di saperle utilizzare e valorizzare, avendo come obiettivi principali il lavoro e la creazione di un sistema produttivo articolato ed efficiente.
L’attenzione deve principalmente essere rivolta verso gli investimenti produttivi, con iniziative capaci di stimolare l’interesse degli imprenditori.
Negli anni scorsi, con il contributo del manager milanese, Nicola Olivieri, sono state prese iniziative di questo tipo, che, purtroppo, non hanno ottenuto le attenzioni che meritavano.
E’ giunto il momento di tornare sul problema con serietà.
Personalmente sono ormai fuori da ogni apparato politico, ma sento ancora di rivolgermi a tutte le persone serie e dire: uniamoci e lottiamo! L’Irpinia non deve morire!

LE FANFARONATE DISTRUGGONO LA CREDIBILITA’


In un Paese solido e sano, generalmente, i fanfaroni riscuotono sempre scarsa credibilità.
In Italia, purtroppo, da un bel po’ di tempo, questi soggetti primeggiano ed esercitano anche  un forte dominio sulla società.
I dati statistici, gli studi degli istituti scientifici, i resoconti delle agenzie specializzate vengono sistematicamente annebbiati, oscurati e addirittura ribaltati dalle fanfaronate dei detentori del potere.
Il guaio è che questo sistema comportamentale, nel campo politico, si è esteso a tal punto da rendere tutto confuso, incerto e aleatorio.
In questo processo abnorme, la vita delle persone più deboli finisce per cadere, sempre più, in balia  dei prepotenti, dei falsari, degli imbroglioni.
Un esempio emblematico di questo stato di cose è dato dalle condizioni in cui, in questi ultimi anni, è precipitato il Mezzogiorno.
Di fanfaronate sul tema, negli ultimi tempi, ne abbiamo sentite a iosa, a cominciare dalla fatidica “Banca del Sud”, ma, intanto, le condizioni di vita della popolazione di questa parte del Paese diventano sempre più disastrose, come è ampiamente dimostrato dal Rapporto Svimez 2011.
Non sarebbe il caso che in tutte le istituzioni e in tutte le forze politiche si facesse una approfondita riflessione sui dati della Svimez ?
Che altro deve succedere perché, sulla questione, si sviluppi un confronto serrato e dialettico tra tutta la classe dirigente del Paese?
In altre fasi della storia repubblicana, almeno questo si riusciva a farlo!
Lo so che, nel tempo attuale, è un po’ troppo chiedere che in Parlamento si sviluppi un confronto reale e non folcloristico, sul Mezzogiorno, tra il nordista Bossi e il sudista(?) Micciché e che nella Regione e in tutti gli enti locali della Campania si sposti l’attenzione dalle poltrone ai problemi del territorio, ma è proprio questo stato di fatto che ci sta portando alla rovina, sotto tutti i punti di vista.
Riflettendo sul problema, non posso fare a meno di richiamare alla mente una vicenda vissuta nella mia esperienza senatoriale, allorché l’allora sottosegretario Micciché, delegato a rappresentare il Governo nella discussione su una mia mozione sul Mezzogiorno, firmata da più di sessanta senatori, dopo una intera giornata di articolato dibattito, non prese nemmeno la parola. Il tutto, naturalmente, può essere verificato negli atti del Senato, relativi alla XIV legislatura.
Ora il Micciché – sentite, sentite - nel mentre sostiene tutte le porcherie del governo Berlusconi, a danno del Mezzogiorno, si sta dando da fare, per unificare una serie di sigle sudiste e dare vita ad un partito del Sud.
Su questa strada, dalle fanfaronate si passa alla provocazione!
I meridionali e tutti gli Italiani di buon senso non possono più assistere a questo spettacolo indecoroso: hanno il dovere di reagire a questo modo di fare.
Non è accettabile che il 150° anniversario dell’Unità del Paese sia imbrattato dalle sporcizie di un Bossi, di un Calderoli, di un Borghezio qualsiasi e dalle fandonie e fanfaronate pubblicitarie di un Berlusconi, di un Tremonti, di un Micciché, di un Garagnani e via dicendo.
Con i problemi bisogna misurarsi con serietà, senso della misura e disponibilità alla fatica.

venerdì 30 settembre 2011

IL TEMPO E’ SCADUTO


L’on. Di Pietro, in riferimento agli scenari politici, che caratterizzano l’attuale vita del nostro Paese, ha detto:
“Prima che ci scappi il morto, mandiamo a casa questo governo”.
Rispetto a questa espressione, sia da parte della maggioranza che dell’opposizione, ci sono state reazioni negative e dure.
Il linguaggio dell’on. Di Pietro, anche in questa occasione, come spesso accade, è apparso sopra le righe e tale da suscitare qualche preoccupazione, ma, onestamente, è difficile disconoscere, in queste sue parole, la rappresentazione di una realtà effettivamente piena di pericoli.
Si può anche non essere d’accordo con tale frase, ma più che mettersi a disquisire sul linguaggio dell’on. Di Pietro, mi sembra opportuno e giusto che tutti si soffermino a riflettere seriamente sui pericoli reali, insiti nella drammatica situazione che l’Italia sta vivendo.
La storia ci dice abbondantemente che, in situazioni di questo tipo, sono possibili e probabili rivolte sociali incontrollabili, ribellioni senza freno, atti sconsiderati.
O vogliamo far finta di non vedere la disperazione che sta investendo centinaia di migliaia di famiglie, la sfiducia che si sta diffondendo nei confronti dello Stato e della politica, il senso di schifo che sta proliferando nella società, rispetto all’arroganza e sfacciataggine di tanti personaggi che detengono il potere?
Le proteste disperate che si registrano qui e là, i gesti eclatanti di lavoratori che, per ottenere attenzione, salgono su gru e tetti, i tanti suicidi di persone, che non reggono alla perdita del lavoro, non dicono niente?
Interroghiamoci su questi fenomeni e, forse, capiremo meglio quanto sia pericolosamente  minato il terreno nel quale viviamo.
E’ certo che i ribellismi esasperati ed i gesti disperati non risolvono i problemi -  anche questo ce lo ha abbondantemente insegnato la storia – ma è altrettanto certo che la disperazione può portare ad azioni inconsulte.
Mettiamoci nei panni del laureato, che non riesce a trovare nessun lavoro e che, per poter percepire, per qualche mese, qualche centinaia di euro è costretto a prostituirsi mentalmente e, spesso, anche fisicamente.
Pensiamo un poco al padre o alla madre di famiglia, che per la perdita del lavoro, non può più mettere il piatto a tavola, pagare il fitto della casa, comprare i libri per i figli.
Immaginiamo, poi, queste persone, davanti al televisore, ad ascoltare le notizie riguardanti
- il premier, che spende centinaia e centinaia di euro per foraggiare le escort,
- certi personaggi politici, che spendono decine di milioni per ristrutturare ville lussuose,
- i manager che prendono centinaia di milioni di euro, anche se mandano in fallimento l’azienda che dirigono, ecc, ecc.
E’ inutile continuare nella rassegna delle porcherie che si stanno consumando nel nostro Paese: stanno sotto gli occhi di tutti e non le vede solo chi non le vuole vedere.
Il tempo del sicuro autocontrollo è scaduto: tutto comincia ad essere possibile.
Di Pietro ha solo evidenziato questo clima.   
Tutte le persone che amano veramente il Paese sono chiamate, prima che sia troppo tardi, a dare il loro contributo, per evitare la catastrofe.
Sia d’esempio ciò che avvenne dopo il 25 luglio e l’8 settembre del 1943.

venerdì 23 settembre 2011

IN BALIA DELLO TSUNAMI


Tutta l’Italia sembra essere in balia di un devastante tsunami, promosso non da un maremoto ma dal sistema economico e politico dominante.
In prima linea, rispetto a questo distruttivo fenomeno, sono il mondo del lavoro, i giovani e il Mezzogiorno.
L’Irpinia ne sa qualcosa, perché sta già pagando pesantemente i peggiori effetti del vortice.
Nella storia repubblicana, il nostro Paese non aveva mai vissuto una fase così triste e nera.
Il tutto avviene, perché padroni e satrapi della peggiore specie hanno perso ogni senso della misura, nella ricerca egoistica e smisurata dei proprio tornaconto, in danno  della comunità e in dispregio di ogni regola civile e morale.
So che a qualcuno questa rappresentazione della realtà può anche apparire apocalittica, ma credo che basti guardarsi attorno con un minimo di senso critico e capacità analitica, per avere la percezione della gravità della situazione.
Che cosa sta succedendo nel nostro territorio?
Le fabbriche vengono chiuse, gli ospedali vengono smantellati, i tribunali vengono soppressi, le scuole vengono impoverite, i servizi vengono ridotti o falcidiati, i diritti vengono calpestati, le risorse naturali e produttive vengono defraudate, ecc.
Che altro deve succedere, perché si riconosca lo stato di sfascio a cui è esposta la nostra terra?
Dove si deve arrivare, affinché la classe dirigente (?) irpina la smetta di fare sceneggiate mediatiche e si assuma le proprie responsabilità?
La drammatica vicenda della IRISBUS dà la prova evidente della debolezza e inconsistenza di questa corporazione, rispetto allo tsunami che ha investito il nostro territorio.
Marchionne finora è rimasto fermo sulle sue posizioni, per niente disturbato dalle sceneggiate del nostro ceto politico, come il ragno che resta tranquillamente a poltrire nel suo buco, rispetto ad un personale di pulizia inefficiente.
Eppure bastava che i nostri rappresentanti istituzionali di maggioranza, per il peso che il loro voto può avere nei momenti cruciali, battessero, una volta tanto, i pugni sul tavolo, per essere ascoltati. Perché non lo hanno fatto?  “L’ardua sentenza” la lasciamo ai posteri?
Una cosa è certa! Di questo passo, il nostro territorio sarà trasformato in un grande serbatoio di immondizia e andrà incontro ad una drastica desertificazione antropica.
Oggi, demagogicamente e in maniera improvvisata, si parla di abolizione delle province. Immaginiamo, per un istante, che cosa succederebbe alle zone interne se si verificasse questa prospettiva. Chi vivrà nei prossimi decenni ne vedrà delle belle! Altro che riduzione della spesa!
A questo punto, grazie all’esperienza politica e di vita, mi permetto di chiedere alle forze di opposizione e segnatamente di sinistra di smetterla di pensare alle poltrone e di inseguire superficialmente il nuovismo.
All’Italia, al Mezzogiorno e alle nostre terre serve ben altro!
Basta con la proliferazione delle sigle, basta con le manovre, basta con i piccoli aggiustamenti!
Si torni alla vera e alla buona politica, basata su grandi idee e progetti, solidi valori e sani comportamenti.
Si torni tra la gente in carne ed ossa, per interpretarne e rappresentarne i bisogni e le buone aspirazioni.
Si costituisca insieme un argine solido allo tsunami che ci sta travolgendo e per costruire una società più giusta ed egualitaria.

domenica 11 settembre 2011

SERVE UN NUOVO AUTUNNO CALDO


Sulla grande stagione di lotte operaie e studentesche del 1969, ricordata con l’espressione
Autunno caldo”, sono state dette molte cose, di diverso tipo: per gran parte del mondo imprenditoriale fu “una ventata di follia”, per gli storici del movimento operaio fu “una spinta epocale a cambiare la società”.
In realtà, quella stagione ha rappresentato, per il nostro Paese, l’avvio di un percorso di grandi conquiste civili e sociali, a cominciare dallo “Statuto dei lavoratori”, che né la marcia dei quarantamila a Torino, né la strage di Piazza Fontana del dicembre 1969, né gli eventi criminosi degli anni di piombo riuscirono a bloccare.
Oggi, il governo Berlusconi, approfittando della crisi economica, determinata interamente dai poteri forti e dalla politica liberista, spregiudicata e senza regole, sta tentando di cancellare tutti i diritti, faticosamente conquistati da quelle lotte.
Buona parte dei ministri in carica sembrano essere animati solo da odiosi risentimenti e dall’unico intento di cancellare i diritti acquisiti dai lavoratori.
Pensiamo, ad esempio, a quello che sta combinando il ministro Sacconi con l’art. 8 della manovra, che non ha assolutamente niente a che fare con il risanamento dei conti!
Dopo l’autunno caldo, negli anni ‘’70, il mondo del lavoro e della cultura e la buona Politica, a cominciare da quella di Sinistra, seppero reagire con intelligenza, forza e tenacia alle violente e losche manovre dei poteri forti e voraci.
Perché oggi, pur essendo presenti nella società tante energie consapevoli dello stato delle cose, non si riesce a trovare la quadra politica, sociale e culturale, per fronteggiare questi distruttori della crescita ed emancipazione sociale?
La spiegazione di questo fenomeno, a mio parere, sta, anzitutto, nell’ideologismo sempre più chiuso, pesante e superattivo della destra conservatrice, a fronte dello squinternamento  di tutte le ideologie progressiste.
Questa destra, a tutti i livelli geografici, ma soprattutto in Italia, grazie al potere economico e mediatico, questa volta, ha fatto un lavoro preventivo e puntiglioso, minando, nella società, il senso civico, l’etica civile e il senso dello Stato e consolidando, a proprio beneficio, il sistema di potere.
 Tramite la P2, P3, P4  e mille altri reti asfissianti, ha occupato tutti i gangli dello Stato, egemonizzando mentalmente buona parte della società e squalificando l’intero sistema politico.
Questo sistema, impersonato in Italia da Berlusconi, non è facile sconfiggerlo!
Può anche scadere nel sentire quotidiano delle persone sane, per effetto dell’eccesso di presunzione, delle manie di onnipotenza, delle derive morali del capo e degli accoliti, ma, dobbiamo sapere che può continuare a creare guasti sempre peggiori.
Ecco la necessità assoluta di rendersi conto della gravità della situazione e di mettere in campo un movimento politico e di lotta, ideologicamente alternativo, socialmente robusto,  moralmente ineccepibile.
Prima che sia troppo tardi, serve un nuovo autunno caldo, capace di fare da guida e dare ossigeno alle lotte dei lavoratori, delle donne, del popolo viola, degli studenti, del mondo della cultura, degli indignati, ecc.
Bisogna uscire dalla dispersione e perseguire un mondo radicalmente diverso e una visione della vita chiaramente alternativa a quella imposta dal berlusconismo. 

C’E’ ANCORA QUALCUNO A CUI INTERESSA IL SUD ?


“Caro Angelo
anche oggi, come succede quasi tutti i giorni, ho ricevuto delle telefonate da persone della tua terra, per chiedermi cosa si possa fare per fronteggiare la crisi industriale.  
Nelle telefonate riscontro, sempre più, sconforto e sfiducia; infatti tutti quelli che mi contattano descrivono una situazione di sostanziale inerzia del sistema politico, caratterizzato solo da sterili teatrini, privi di concretezza.
La chiusura della IRISBUS viene sentita da tutti come una vicenda devastante.
Credo, purtroppo, che la loro sensazione sia più che fondata. In mancanza di una strategia completamente diversa, rispetto a quella passata, tutto rischia di andare a rotoli.
Non posso, pertanto, non ricordare  con rammarico le tante iniziative che, da sette anni, ho portato avanti, assieme a te e a tanti altri, per tentare di allocare piccole industrie del nord nella vostra terra. Era la strada giusta.
Tante sono state le persone e le istituzioni a cui ho sottoposto  9 punti di sviluppo industriale e 5 punti di sviluppo turistico, per l’Irpinia e la Campania.
Tanti sono stati gli imprenditori che hanno manifestato concreto interesse di investimenti, in Irpinia, senza chiedere finanziamenti ma solo capannoni disponibili.
Perché sono andati a vuoto i tanti nostri sforzi? Molti dovrebbero chiederselo!
Mi auguro che, grazie all’impegno del Sindaco e di tanti altri che amano intensamente la loro terra, si concluda positivamente almeno  l’iniziativa in atto nel comune di Bisaccia.
Personalmente sono ancora disponibile a lavorare 24 ore al giorno per dare il mio contributo allo sviluppo del vostro territorio, senza essere frenato da alcuna remora politica, ma consentimi   di porti una domanda secca: C’è ancora qualcuno a cui interessa  il Sud ?
Ti abbraccio
Nicola Olivieri
Nel mentre mi accingevo a scrivere l’articolo settimanale per il Corriere ho ricevuto  dal manager Nicola Olivieri la lettera dianzi riportata.
Gli argomenti trattati nella lettera sono stati più volte esposti sulle pagine di questo giornale ed anche in altri luoghi.
Sento il bisogno di tornare sull’argomento perché la problematica in discussione, in presenza della crisi della IRISBUS e di tante altre aziende, è oltremodo attuale ed anche perché, a chiusura della lettera, il dottor Olivieri pone una domanda provocatoria: “c’è ancora qualcuno a cui interessa il Sud”?
Sento di rispondere che, da qualche anno, non individuo più alcun interesse del sistema politico imperante, nei confronti del Mezzogiorno. Aggiungo, inoltre, che gli stessi meridionali mi appaiono piuttosto rassegnati, passivi e conniventi.
La politica berlusconiana-leghista sta condannando il Mezzogiorno alla morte.
I parlamentari e tutti i rappresentanti istituzionale del Sud, che avallano tale politica, dovrebbero farsi un  severo esame di coscienza, prima di aprire bocca.
Rispetto alla crisi del sistema industriale irpino e meridionale, la strategia proposta dal dottor Olivieri è sicuramente quella giusta, in quanto servirebbe ad utilizzare tutto il nostro patrimonio di aree attrezzate e capannoni vuoti, ma, vista la sordità del sistema di potere imperante, non mi faccio molte illusioni.
Per cambiare le cose bisognerebbe rivoluzionare tutto il sistema e mandare a casa tutti i valvassini nullafacenti, che occupano le poltrone del potere.
E’ giunta l’ora di smetterla di leccare il sedere …