lunedì 26 dicembre 2011

SPETTRO DI SFIDUCIA, DISIMPEGNO E INDIFFERENZA


Il coordinamento PD di Valle Ufita sta facendo circolare un manifesto-appello, intitolato
 PER RESTARE NEL PD”, in preparazione di una grande assemblea dei militanti, per gli inizi di gennaio.
Nel documento si colgono disagio e amarezza: stati d’animo molto diffusi nell’elettorato del PD e di larga parte della Sinistra.
Da esperto di una situazione psicologica di questo tipo, sento di augurare ai compagni ed amici, protagonisti di questa iniziativa, di non lasciarsi travolgere dalla sfiducia e di non cadere, di conseguenza, nel disimpegno o, peggio ancora, nell’indifferenza.
I motivi del disagio sono certamente fondati, ma bisogna reagire con razionalità e voglia di superarlo.
Lo so, cari compagni ed amici, che molti di voi, rispetto a questa mia sollecitazione, saranno portati a dire: “Guarda chi parla! Ci viene a fare le prediche proprio chi può esser citato come prototipo del nostro stato d’animo!
Reagite pure come vi pare: è un vostro pieno diritto, perche ne avete tutte le ragioni.
Ciò che voglio sottolineare è l’assoluta necessità di dare concretezza ai sentimenti e ai principi che sono contenuti nel vostro appello, in direzione di un “percorso politico, culturale, sociale ed economico chiaramente alternativo a quello perseguito negli ultimi anni, nel nostro Paese”.
Bisogna bloccare il processo involutivo in corso e, per farlo, è chiaro che “non bastano i provvedimenti messi in atto finora dal Governo Monti”, come giustamente dite voi.
Per contrastare con efficacia “l’intento ideologico di far girare all’indietro la ruota della storia”, perseguito dalle forze conservatrici e dai poteri economici e finanziari, bisogna lavorare nella società, per l’affermazione di una diversa visione del mondo e della vita.
Questo impegno può esser esplicato in vari modi e sotto varie forme, indipendentemente dalla collocazione: importante è crederci!
E’ più che giusto, pertanto, che coloro i quali militano in un partito facciano sentire ai dirigenti  la loro voce, con forza, smettendo di inghiottire passivamente bocconi amari e indigeribili.
Nel Mezzogiorno e in Irpinia serve, ancora più che altrove, un impegno deciso e costante di questo tipo. Non si può fare finta di non capire che il prezzo più grosso e insopportabile della crisi -pilotata dai poteri forti- cade proprio su queste terre.
E’ da questi territori, perciò, che bisogna far partire un forte movimento di lotta, nutrito di pensieri emancipativi e di crescita.
E’ giunto il momenti di smetterla di cincischiare e piangersi addosso: tutte le persone che hanno veramente a cuore il futuro di questa realtà territoriale, dovunque e comunque collocate, aprano un confronto serrato sui fatti concreti.
Energie ce ne sono tante: nella società, nei sindacati, nelle associazioni professionali e del volontariato, negli strumenti di informazione, negli stessi partiti.
Ebbene, tutte queste energie, di fronte ad episodi drammatici come quelli della Irisbus e di tante altre aziende in chiusura, di fronte allo sperpero e alla svalutazione delle nostre migliori risorse naturali e umane, di fronte alla vanificazione continua di tutti i progetti infrastrutturali, da anni propagandati, ecc, trovino un punto di incontro e confronto, per ottenere risultati veri e dare vita ad una nuova classe dirigente. Coraggio, compagni!

lunedì 19 dicembre 2011

L’INCUBO DI UN BRUTTO FUTURO


- “Siamo in recessione: nel 2012 il Pil sarà di meno 1,6%, alla fine del 2013 ci saranno 800 mila  posti di lavoro in meno e la pressione fiscale supererà il 54% del Pil”. (Centro Studi Confindustria);
- “Il periodo buio non è finito: per l’economia di Eurolandia esistono rischi sostanziali al ribasso, ci sarà una inevitabile contrazione dell’economia a breve”. ( Mario Draghi, Presidente BCE);
-“ Il cammino per l’uscita dalla crisi è molto lungo” .(Presidente UE);
-“La situazione è anche peggio di quello che ci aspettavamo. Siamo in recessione”.  (Ministro Passera)
- “ A Novembre il carrello della spesa (i prodotti acquistati con più frequenza, fra cui cibo e carburante) segna un aumento annuo del 4,2%” (Istat);
_” Il debito pubblico a ottobre è salito a quota 1909,19 mld, rispetto ai 1813,7 mld di settembre”.(Bankitalia).
Ogni giorno, sfogliando i giornali e accendendo il televisore, apprendiamo notizie di questo tipo ed anche peggiori. E’ diventato un incubo!
Lo scenario sociale ed economico che veniamo quotidianamente a conoscere attraverso gli strumenti di informazione provinciali non è certamente meno traumatizzante.
Non c’è giorno che non si abbia notizia di qualche chiusura di azienda, di licenziamenti di lavoratori, di smantellamento di qualche ospedale, tribunale o altro sevizio, di non pagamento di salario a gruppi di lavoratori, di incidente grave sui luoghi di lavoro, ecc.
Lo stato del nostro Paese sembra rassomigliare a quello di una persona gravemente ammalata, che, dopo una trasfusione di sangue, manifesta qualche sintomo di miglioramento, per poi precipitare in una condizione sempre peggiore.
Rispetto a questo andamento, i facili e superficiali ottimismi mi sembrano ridicoli e i pessimismi esasperati mi sembrano  inopportuni e sbagliati.
Ciò che serve è un’analisi rigorosa e critica della realtà, per trovare una bussola, capace di indirizzare le istituzioni, il mondo imprenditoriale e la società civile verso un percorso alternativo a quello che ci ha portato in questa situazione.
Le cose nuove da fare sono molte, nei più diversi campi, ma è assolutamente indispensabile partire dai punti nodali della crescita e del lavoro.
Non si uscirà dalla crisi se non si troverà il modo di far crescere il sistema produttivo e non si promuoverà l’occupazione.
Per realizzare questi obiettivi è chiaro che servono ingenti risorse finanziarie, ma non è più possibile, come è avvenuto finora, andarle a prelevare in fondo al “barile”. Non ce ne sono più!
Bisogna, allora, andare a prenderle dove ci sono: in quel dieci per cento delle famiglie italiane che detengono il 50% della ricchezza nazionale, nel mondo della evasione fiscale e nella pletora degli enti inutili. Non c’è altra strada!
E poi bisogna spendere bene e con oculatezza i soldi: gli investimenti vanno fatti per far crescere la produzione, per valorizzare le risorse migliori e per creare lavoro.
Questo vale per tutta l’Europa, per tutta l’Italia e soprattutto per il nostro Mezzogiorno.
Credo che sia giunto il momento, anche in Irpinia, di voltare decisamente pagina.
Basta, perciò, con le scaramucce per l’occupazione delle poltrone e si apra un confronto serrato per fare e attrarre investimenti seri e valorizzare le nostre potenzialità!

domenica 11 dicembre 2011

CRISI PILOTATA E MANOVRATA


La crisi economica che sta affliggendo l’Italia, l’Europa e buona parte del mondo occidentale non è stata prodotta dall’impatto violento di un asteroide con il nostro pianeta né da uno tsunami globale, ma dal sistema capitalista, che ha esasperato il liberismo, il mercato senza regole, le speculazioni finanziarie e la ricerca più spregiudicata del profitto.
Per capire lo stato delle cose, è giunto il momento di aprire gli occhi e non rincorrere fantasmi: solo nella logica di un sistema così disumano e vessatorio possono essere spiegate certe azioni delle agenzie di rating , i comportamenti ambigui delle istituzioni europee, le pretese egoistiche di Merkel e Sarkozy, le continue manovre da salasso di alcuni governi nazionali, a cominciare dal nostro.
La crisi economica è pilotata e manovrata da coloro che l’hanno generata, nell’intento non solo di fare ulteriori e sempre maggiori profitti ma anche e soprattutto di fare girare all’indietro la ruota della storia, attraverso la cancellazione dei diritti conquistati dalle classi più deboli, in decenni e decenni di lotte.
L’obiettivo di fondo è quello di rigenerare il regime feudale, in forme moderne e adeguate al nuovo sistema di vita.
In questo quadro, la vera politica ha perduto la sua funzione edificante, emancipatrice e regolatrice ed è stata sostanzialmente sottomessa, anche attraverso sporchi ricatti, agli interessi dei nuovi feudatari.
E così una pletora di vassalli, collocati qui e là, nell’apparato amministrativo, negli enti gestionali, nel variegato sistema di potere, nel sistema informativo  lavorano per conto dei loro padroni, gettando pure veleno e fango sulle istituzioni sane, sull’etica civile e sulla buona politica.
Di qui il trionfo del trasformismo, del qualunquismo, del populismo, del personalismo, ecc.
Il tutto è stato reso più facile anche dallo snervamento che si è prodotto, negli ultimi anni, nella sinistra, che, nel tentativo di scrollarsi di dosso macchie, scorie e fardelli di errori, ha spesso rinunciato a coltivare i propri valori e ideali, convertendosi al più superficiale nuovismo e mettendosi addirittura a scimmiottare malamente gli avversari.
In questo processo politico piuttosto paludoso e alquanto nebuloso, i nuovi despoti, quando non si sentono sufficientemente garantiti nella realizzazione delle loro perniciose pretese, non esitano a scendere direttamente in campo, per la gestione diretta del potere.
Il caso italiano, nel merito, è emblematico e, purtroppo, c’è da temere che il fenomeno non finisca con l’attuale uscita di scena del Berlusca da Palazzo Chigi.
Non è un caso che, di tanto in tanto, oltre all’ex magnate, nello scenario politico, si sentono scalpitare anche altri supermiliardari.
Se le cose stanno così ed è difficile contestare la valutazione dei fatti, tutte le persone di buon senso non possono continuare ad assistere con indifferenza ai processi in atto.
Cara Sinistra, è chiaro ed evidente che, in un quadro di questo tipo, ci sono ampi spazi per una politica fondata sui valori e sugli ideali tipici della tua complessa e variegata storia.
Non serve guardare nostalgicamente all’indietro, ma è altrettanto sbagliato sradicare i fondamenti della propria identità.
Ricordiamoci sempre che, rinunciando ai fondamentali principi identitari, si finisce inevitabilmente per fare il gioco degli avversari.

lunedì 5 dicembre 2011

RICETTE NUOVE CONTRO LA CRISI


I provvedimenti governativi che si preannunciano, per fronteggiare la crisi, non suscitano entusiasmo. Non sembra, infatti, che si voglia imboccare una strada veramente nuova, rispetto a quella percorsa fino ad ora.
Naturalmente c’è da augurarsi che gli strumenti di informazione stiano male interpretando le intenzioni del Governo, ma se, ancora una volta, si dovesse infierire su pensioni, prime case, servizi  e costo della vita sarebbe un tragico copione già abbondantemente sofferto.
E’ chiaro che, nei momenti difficili, tutti devono predisporsi a fare sacrifici e ad avere grande senso di responsabilità, ma questo comportamento è possibile chiederlo alle persone, che già hanno fatto tanti sacrifici, solo se si comincia a risanare seriamente il marcio esistente nel sistema di potere, a incidere su grandi patrimoni e rendite, a colpire gli eterni privilegiati.
Non si tratta solo di rispondere alle più elementari esigenze di equità, ma anche di estirpare dal tessuto sociale i mali più nefasti. 
La malattia è grave ma non è inguaribile: occorre solo cambiare ricetta!
Se il nuovo governo non si muoverà in questa direzione si prolungherà l’agonia del Paese, non si uscirà dalla crisi e si costruiranno pure le condizioni per una rivincita di coloro che ci hanno fatto precipitare nel marasma.
La falcidiazione di pensioni, salari e stipendi, riducendo la capacità di spesa e consumo, deprime la produzione e la crescita e fa cadere nella recessione.
Non c’è bisogno di essere dotati di grandi competenze economiche per capirlo!
E’ giunta l’ora, perciò, di cambiare rotta!
In Italia ci sono migliaia e migliaia di enti inutili e di società in house, che sprecano ingenti risorse, bypassano le più normali regole della pubblica amministrazione, non rispettano i minimi requisiti di trasparenza, ecc.
Si tratta di una selva di carrozzoni la cui missione non è chiara e che, spesso, si sovrappongono pure alla funzione degli enti elettivi.
A che cosa bisogna aspettare per sfoltire drasticamente questo bosco e recuperare le risorse  per la crescita del Paese?
Si vuole continuare a far finta di non sapere che in questo ginepraio di enti, spesso, operano i peggiori manutengoli del sistema di potere, che sbafano soldi della collettività?
Nei giorni scorsi è stato pubblicato un rapporto della Trasparency International sulla corruzione nel mondo. L’Italia, su una lista di 183 Paesi, è collocata al 69° posto, a pari merito con il Ghana, la Macedonia e le isole Samoa. Non è una situazione edificante!
Quando si vuole fare qualcosa per abbattere il livello di corruzione nel nostro Paese, diminuendo, così, i costi pubblici e, quindi, il debito? Le risorse recuperate sarebbero essenziali per l’economia virtuosa che investe e crea lavoro.
Tutti sanno che nel nostro Paese ci sono più di cento miliardi di evasione fiscale all’anno e
circa cinquecento miliardi di economia nera, spesso in mano alla malavita organizzata, che metà della ricchezza nazionale sta nelle mani del 10° delle famiglie.
Perché non si interviene decisamente in questi campi, anziché aumentare l’Iva, colpire le pensioni, tagliare i servizi, ecc?
Per agire in questa direzione non bisogna essere rivoluzionari, basta solo avere buon senso e voler bene al Paese.

venerdì 2 dicembre 2011

ATTENTI AL MARCHIONNISMO!


Dalla storia e dalla vita quotidiana ci vengono molti esempi di presunzione, supponenza e delirio di onnipotenza.
Quando atteggiamenti di questo tipo provengono dai detentori o gestori del potere politico ed economico, i rapporti sociali risultano gravemente compromessi.
In questa fase delicata della vita del nostro Paese, questo vizio deleterio sta assumendo, purtroppo, proporzioni devastanti, nelle sfere alte del potere
Uno degli aspetti emblematici del berlusconismo, infatti, è il convincimento che il “capo”possa fare tutto quello che vuole, senza alcun rispetto delle regole e dell’etica civile e senza dover dare conto a nessuno del proprio operato.
Il massimo dirigente della Fiat, Sergio Marchionne, da un bel po’ di tempo, si è messo, anche lui, su questa scia, determinando guasti economici e tensioni sociali enormi.
La disdetta dei contratti e degli accordi sindacali da parte della Fiat, a partire dal primo gennaio 2012, è un atto dettato da un vero e proprio delirio di onnipotenza, perché intende imporre a tutto il sistema economico italiano il modello contrattuale fatto passare, con il ricatto, a Pomigliano.
Si tratta di un comportamento irresponsabile e violento, non solo perché calpesta, unilateralmente, accordi collaudati e diritti elementari e indispensabili, ma anche perché non tiene in alcun conto la situazione critica, che sta vivendo il nostro Paese.
Il rischio grave è che questo modo d’agire, se non viene prontamente e decisamente fermato, si allarghi a tutto il mondo imprenditoriale.
In altre parole, il marchionnismo incombe pesantemente sul mondo del lavoro, con le conseguenze che si possono facilmente immaginare.
In questa logica, la pratica della chiusura delle fabbriche, come è avvenuto, ad esempio, con l’azienda Fiat di Termini Imerese e con la Irisbus della Valle Ufita, diventerebbe una cosa normale, lo spostamento all’estero di attività imprenditoriali assumerebbe aspetti sempre più scontati, il ritmo di lavoro, contrassegnato da più flessibilità, turni più duri, pause tagliate, ecc, diventerebbe sempre più asfissiante.
C’è solo da augurarsi che tutte le organizzazioni sindacali e tutte le forze politiche prendano,  finalmente, coscienza della pericolosità, insita nella filosofia (?) di Marchionne e che l’attuale governo e segnatamente i nuovi ministri del lavoro e dello sviluppo economico facciano la loro parte, in difesa dei diritti sacrosanti dei lavoratori e del Paese, a differenza di quello che, fino a qualche settimana fa, hanno fatto Berlusconi, Sacconi, Romani, ecc.
Bisogna sapere che certe logiche e filosofie, devono essere contrastate in tempo, se si vuole che non producano disastri nello stesso modo di pensare della gente comune.
Ciò che avvenne nell’estate 2010 a Pomigliano ha fatto scuola, perché allora, anche a sinistra, da parte di vari esponenti, si sottovalutò la portata dell’azione di Marchionne e si ritenne che si trattasse di una eccezione.
Le filosofie prevaricatrici, che non rispettano gli interlocutori, invece, non devono essere mai sottovalutate. Nelle fasi difficili è certamente necessario che tutti siano disposti a fare sacrifici e a rinunciare, temporaneamente, anche a qualche diritto, ma niente è accettabile per imposizione egoistica e unilaterale. Senza dialettica, confronto e rispetto tra le parti non c’è democrazia e non c’è futuro per il Paese. Attenti, perciò, al marchionnismo!