mercoledì 26 ottobre 2011

FERROVIA NAPOLI-BARI CHE SIA LA VOLTA BUONA!


La Commissione Europea ha inserito la ferrovia di alta capacità Napoli-Bari nella lista dei progetti prioritari, relativi alle grandi reti di trasporto.
Si tratta di una decisione di grande importanza, per le aree interne, per il Mezzogiorno, per l’intero Paese.
Se, poi, si prendono in considerazione anche le altre opere inserite nel piano ed i fondi europei, destinati alla loro realizzazione, non si può che esprimere un giudizio sinceramente positivo, soprattutto in considerazione del fatto che, da anni, il governo del nostro Paese si muove in ben altra direzione.
Pensiamo, per un attimo, “a tutte le altre faccende in cui appare affaccendato” il nostro presunto “Unto del Signore“e a tutte le sistematiche rapine fatte ai fondi FAS, destinati, in larga parte, al Mezzogiorno, per appagare gli appetiti leghisti!
Per i meridionali, apprendere, in questo quadro, che il piano UE prevede per l’Italia oltre 15 opere infrastrutturali, per circa 31,7 miliardi di euro, e che tra le opere, oltre alla ferrovia
NA-BA, vi sono anche i collegamenti ferroviari Napoli-Reggio Calabria e Messina-Palermo, non può che essere motivo di grande piacere e attenzione.
Non escludo che il mio giudizio positivo sulla vicenda possa anche dipendere
dal ricordo del lavoro svolto sul problema, durante la mia esperienza senatoriale, tuttavia credo che il fatto in sé meriti di essere preso  oggettivamente in grande considerazione.
Mi auguro che, questa volta, tutta la classe dirigente, a cominciare da quella irpina, approfitti dell’occasione che viene offerta dalla Commissione Europea e non volti gli occhi in altra direzione, come avvenne nel 2003, allorché, in Senato, riuscii a far approvare, proprio su questo tema del raccordo ferroviario Campania-Puglia, un ordine del giorno, all’unanimità. Tentai pure, a seguito di quel risultato, di attivare sul territorio un’azione collettiva, in merito al problema, con il sostegno del Sen Paolo Brutti, capogruppo dei DS nella Commissione Trasporti, ma anche quella iniziativa rimase senza ascolto.
Oggi le cose devono andare diversamente! Bisogna rendersi conto che il potenziamento delle grandi infrastrutture nel Mezzogiorno, a cominciare dalla ferrovia di alta capacità NA-BA, potrà inserire efficacemente l’Italia nel corridoio Baltico-Adriatico, facendola diventare protagonista europea dei processi economici e commerciali.
Il Mezzogiorno potrà, in questo modo, diventare una risorsa per l’Italia e per l’Europa e cessare di essere un peso.
Una risposta forte e alternativa al leghismo bossiano, egoista e razzista, non può essere data né dalle ipocrite sceneggiate, alla Micciché, né da un ottuso leghismo meridionale, ma da una politica forte, nutrita di idee innovative, programmi concreti e comportamenti sani.
L’Europa e il Governo italiano devono fare la loro parte, sul terreno delle infrastrutture, dei servizi, della sicurezza, del lavoro e del superamento degli squilibri di base, ma i meridionali non possono rimanere passivamente in attesa.
La classe dirigente meridionale esca una volta per sempre dalla palude del clientelismo di tipo feudale e si ispiri all’azione dei nostri padri e nonni emigranti, allo spirito di sacrificio dei nostri vecchi contadini, braccianti ed operai, alla vivacità culturale ed operativa dei nostri giovani, all’intensità umana delle nostre mamme, sorelle e figlie.

martedì 18 ottobre 2011

SE VIENE CALPESTATO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA


Non possono essere definiti democratici quei Paesi in cui viene sistematicamente calpestato il principio di uguaglianza: la democrazia non può essere ridotta ad una formalità o, peggio ancora, ad una farsa, recitata nelle istituzioni e sui media dai detentori del potere.
In uno Stato veramente democratico, il rispetto della persona e la garanzia di pari diritti ed opportunità per tutti i cittadini, devono essere al primo posto, sotto tutti i punti di vista.
Si possono discutere e confrontare le forme politiche per il raggiungimento di tali obiettivi, ma non sono assolutamente accettabili la messa in discussione e la vanificazione del principio di eguaglianza.
La storia umana, segnatamente dal XVIII secolo in poi, è stata caratterizzata da una forte dialettica culturale e politica, accompagnata da lotte decise, per il riconoscimento e l’affermazione di tale principio.
Che l’eguaglianza dei cittadini sia espressamente sancita nella Costituzione Italiana e in quelle di buona parte dei Paesi avanzati è un fatto di grande importanza.
Preoccupante è invece la tendenza sempre più sfacciata, anche nei paesi formalmente democratici, a cominciare dal nostro, a vanificare tale principio, a favore del mercato, del profitto e del potere. Per effetto di questa tendenza, sul pianeta stanno vistosamente aumentando le differenze tra i popoli e all’interno dei popoli, si stanno moltiplicando le ingiustizie sociali, si stanno alterando i rapporti all’interno delle comunità. Ha preso il sopravvento la politica classista, caratterizzata non solo dallo sfruttamento dei lavoratori da parte dei padroni, ma anche e soprattutto dalle speculazioni finanziarie, in danno del sistema produttivo e della vita normale della società.
La globalizzazione del mercato, senza la globalizzazione dei diritti, ha innescato un processo competitivo devastante per i ceti più deboli, per la tenuta degli equilibri sociali e per la  sicurezza ambientale. La cosiddetta modernizzazione del sistema sta cancellando diritti faticosamente conquistati, attraverso decenni e decenni di lotte.
Se, nel nostro Paese, si leggono i rapporti degli istituti di ricerca e di statistica non si può che rimanere sconcertati.
Negli ultimi anni sono saltati tutti gli equilibri: nella distribuzione della ricchezza, nel mercato del lavoro, nel sistema di vita del territorio.
Il principio di uguaglianza è stato calpestato a tutti i livelli ed in ogni settore della vita civile.
Persino nelle aule giudiziarie, dove permane la scritta “La legge è uguale per tutti”, è difficile  garantire questo sacrosanto principio. E così le carceri sono finite per essere affollate solo da giovani drogati, immigrati e ladruncoli disperati, mentre i ricchi e i potenti, grazie a schiere di avvocati ben pagati e ad una selva ingarbugliata di norme legislative ambigue, appositamente prodotte, riescono sempre a farla franca.
Che dire del sistema fiscale e degli appalti, della pratica dei concorsi e delle assunzioni nei luoghi di lavoro? A prevalere sul merito e sul rispetto delle regole sono sempre il favoritismo, il clientelismo, la raccomandazione, la corruzione!
Su questa strada il futuro del Paese è in forte pericolo.
Chi aspira a porsi come vera alternativa a questo sistema, la smetta di crogiolarsi nelle manovre e negli inciuci e riparta dal sacrosanto principio dell’eguaglianza.

domenica 9 ottobre 2011

L’IRPINIA NON DEVE MORIRE


La situazione politica, economica e sociale dell’Irpinia si aggrava ogni giorno di più e, allo stato, non si intravedono spiragli di luce, anche perché il quadro nazionale, è, anch’esso, piuttosto preoccupante.
In mancanza di una svolta politica decisa, la situazione rischia di precipitare rovinosamente.
Rispetto ad uno scenario di questo tipo servirebbe uno sforzo combattivo e unitario delle migliori energie del territorio.
L’appello quotidiano alla coesione, all’unità e al senso di responsabilità, rivolto dal Presidente  Napolitano all’intero Paese, vale ancora di più per un territorio martoriato, come il nostro.
Se non si riesce a mettere da parte egoismi e divisioni e a fare uno sforzo di confronto e collaborazione, nelle situazioni di emergenza, quando è pensabile poterlo fare?
Visto lo stato delle forze politiche in campo e visti i soggetti che la fanno da padroni, non è facilmente ipotizzabile l’avvio di una stagione di confronto e coesione. 
Non c’è da farsi illusioni, ma non bisogna nemmeno cadere nell’assoluto scetticismo, perché nella società e nelle stesse forze politiche non mancano le energie positive e le persone di buon senso.
Bisogna solo che si rompano gli schemi e si esca dai consunti binari della gestione del potere,  per analizzare senza paraocchi la realtà, individuare una bussola e costruire un percorso chiaramente alternativo, con spirito unitario.
So che questo è più facile dirlo che farlo, ma se si vuole uscire dall’imbuto, nel quale siamo precipitati, le persone di buon senso non possono continuare ad assistere passivamente alla chiusura delle fabbriche, allo smantellamento degli ospedali, dei tribunali e dei servizi civili e sociali, all’aumento della disoccupazione, alla desertificazione del territorio.
A questo punto, sento il bisogno ed il dovere di rivolgere un caloroso appello a tutte le persone, che vivono con ansia e preoccupazione lo sfascio a cui sta andando incontro la nostra terra, affinché escano dallo stato di rassegnazione e passività e mettano in campo idee  ed iniziative, capaci di suscitare un risveglio collettivo.
Lo stato di emergenza in cui ci troviamo impone a tutti senso di responsabilità e spirito costruttivo, per cui è necessario non rimanere prigionieri delle manie personalistiche.
I gestori del potere, se non avvertono il bisogno di dare una svolta alla loro azione, continuino pure a cuocere nel loro brodo; importante è che le migliori energie della società attivino un movimento di ricerca e confronto, finalizzato a costruire una proposta di crescita e sviluppo del nostro territorio.
L’Irpinia ha risorse e potenzialità rilevanti. Si tratta di saperle utilizzare e valorizzare, avendo come obiettivi principali il lavoro e la creazione di un sistema produttivo articolato ed efficiente.
L’attenzione deve principalmente essere rivolta verso gli investimenti produttivi, con iniziative capaci di stimolare l’interesse degli imprenditori.
Negli anni scorsi, con il contributo del manager milanese, Nicola Olivieri, sono state prese iniziative di questo tipo, che, purtroppo, non hanno ottenuto le attenzioni che meritavano.
E’ giunto il momento di tornare sul problema con serietà.
Personalmente sono ormai fuori da ogni apparato politico, ma sento ancora di rivolgermi a tutte le persone serie e dire: uniamoci e lottiamo! L’Irpinia non deve morire!

LE FANFARONATE DISTRUGGONO LA CREDIBILITA’


In un Paese solido e sano, generalmente, i fanfaroni riscuotono sempre scarsa credibilità.
In Italia, purtroppo, da un bel po’ di tempo, questi soggetti primeggiano ed esercitano anche  un forte dominio sulla società.
I dati statistici, gli studi degli istituti scientifici, i resoconti delle agenzie specializzate vengono sistematicamente annebbiati, oscurati e addirittura ribaltati dalle fanfaronate dei detentori del potere.
Il guaio è che questo sistema comportamentale, nel campo politico, si è esteso a tal punto da rendere tutto confuso, incerto e aleatorio.
In questo processo abnorme, la vita delle persone più deboli finisce per cadere, sempre più, in balia  dei prepotenti, dei falsari, degli imbroglioni.
Un esempio emblematico di questo stato di cose è dato dalle condizioni in cui, in questi ultimi anni, è precipitato il Mezzogiorno.
Di fanfaronate sul tema, negli ultimi tempi, ne abbiamo sentite a iosa, a cominciare dalla fatidica “Banca del Sud”, ma, intanto, le condizioni di vita della popolazione di questa parte del Paese diventano sempre più disastrose, come è ampiamente dimostrato dal Rapporto Svimez 2011.
Non sarebbe il caso che in tutte le istituzioni e in tutte le forze politiche si facesse una approfondita riflessione sui dati della Svimez ?
Che altro deve succedere perché, sulla questione, si sviluppi un confronto serrato e dialettico tra tutta la classe dirigente del Paese?
In altre fasi della storia repubblicana, almeno questo si riusciva a farlo!
Lo so che, nel tempo attuale, è un po’ troppo chiedere che in Parlamento si sviluppi un confronto reale e non folcloristico, sul Mezzogiorno, tra il nordista Bossi e il sudista(?) Micciché e che nella Regione e in tutti gli enti locali della Campania si sposti l’attenzione dalle poltrone ai problemi del territorio, ma è proprio questo stato di fatto che ci sta portando alla rovina, sotto tutti i punti di vista.
Riflettendo sul problema, non posso fare a meno di richiamare alla mente una vicenda vissuta nella mia esperienza senatoriale, allorché l’allora sottosegretario Micciché, delegato a rappresentare il Governo nella discussione su una mia mozione sul Mezzogiorno, firmata da più di sessanta senatori, dopo una intera giornata di articolato dibattito, non prese nemmeno la parola. Il tutto, naturalmente, può essere verificato negli atti del Senato, relativi alla XIV legislatura.
Ora il Micciché – sentite, sentite - nel mentre sostiene tutte le porcherie del governo Berlusconi, a danno del Mezzogiorno, si sta dando da fare, per unificare una serie di sigle sudiste e dare vita ad un partito del Sud.
Su questa strada, dalle fanfaronate si passa alla provocazione!
I meridionali e tutti gli Italiani di buon senso non possono più assistere a questo spettacolo indecoroso: hanno il dovere di reagire a questo modo di fare.
Non è accettabile che il 150° anniversario dell’Unità del Paese sia imbrattato dalle sporcizie di un Bossi, di un Calderoli, di un Borghezio qualsiasi e dalle fandonie e fanfaronate pubblicitarie di un Berlusconi, di un Tremonti, di un Micciché, di un Garagnani e via dicendo.
Con i problemi bisogna misurarsi con serietà, senso della misura e disponibilità alla fatica.