Tra i mali peggiori di una società bisogna certamente annoverare la passività, l’indifferenza, la rassegnazione, l’assuefazione: una società ridotta in questo stato consente ai detentori del potere politico ed economico di fare “il bello e il cattivo tempo”, con gravi conseguenze per la stessa vita democratica. La storia è zeppa di esempi di questo tipo.
E’ indiscutibile l’opportunità, anzi la necessità di indignarsi e ribellarsi, rispetto ad un sistema politico ed economico, proteso a determinare siffatta situazione sociale e a reggersi su di essa.
Per essere ancora più espliciti, occorre dire che è oltremodo giusto indignarsi e ribellarsi, rispetto ad ogni prevaricazione del diritto, della legalità e della libertà e rispetto ad ogni appannamento dell’etica civile. Ha ragione Stephane Hessel, autore del libro Indignatevi.
Chi svolge una funzione pubblica, in particolare, è bene che sia sottoposto continuamente ad un esame rigoroso della società e che, in caso di scorrettezze e porcherie, sia bersagliato dalla contestazione.
In questo quadro non si possono che salutare con piacere tutte le forme di indignazione e ribellione che vanno esprimendosi nel mondo ed anche nel nostro Paese, contro il dispotismo, le ingiustizie, la corruzione, il malaffare ed anche contro le inefficienze e le inadeguatézze.
Non possiamo certamente mettere sullo stesso piano le battaglie dei popoli magrebini, le contestazioni degli indignados spagnoli, le lotte dei lavoratori, dei precari, dei giovani e delle donne italiane, ma non possiamo fare a meno di cogliere in tutte queste manifestazioni una comune indignazione, rispetto ad uno stato di cose inaccettabile.
Rispetto a questo “mondo” in movimento non c’è da chiedersi se e quanto esso sia giustificato, perché la risposta la reputo scontata, in senso positivo, ma occorre necessariamente porsi il problema degli sbocchi possibili e dei processi che potrà determinare.
Chi si indigna e si ribella attesta di essere vivo e mentalmente libero e, perciò, va apprezzato e sostenuto, ma dobbiamo sapere - la storia ce lo ha abbondantemente insegnato - che la ribellione può produrre risultati sicuri e duraturi solo se è sostenuta da un patrimonio ideale, culturale e progettuale e da una visione alternativa della vita e del mondo.
Alla base della Rivoluzione Francese, delle lotte proletarie del Novecento, delle lotte di liberazione dei popoli dal potere coloniale, della Resistenza al Nazifascismo, tanto per citare qualche esempio emblematico, c’era certamente una grande indignazione, ma c’era anche un pensiero politico e culturale profondo, sostenuto da un colossale patrimonio di ideali e valori.
Nel nostro Paese e in buona parte dei paesi europei, in questi ultimi anni, non sono mancati segnali di indignazione e neppure proteste e lotte, ma, spesso, il tutto è apparso come un corpo con debole spina dorsale. E così le fiammate, dopo un po’, si sono spente e, nella cenere, da una parte è riapparsa la rassegnazione e dall’altra l’arroganza del potere.
Tutto questo è avvenuto perché negli ultimi anni sono state criminalizzate le ideologie progressiste e hanno trionfato quelle del profitto e del mercato finanziario.
Per uscire da questa situazione bisogna nutrire l’indignazione di un solido pensiero alternativo e rivoluzionario.