martedì 31 maggio 2011

INDIGNARSI E RIBELLARSI NON BASTA


Tra i mali peggiori di una società bisogna certamente annoverare la passività, l’indifferenza, la rassegnazione, l’assuefazione: una società ridotta in questo stato consente ai detentori del potere politico ed economico di fare “il bello e il cattivo tempo”, con gravi conseguenze per la stessa vita democratica. La storia è zeppa di esempi di questo tipo.
E’ indiscutibile l’opportunità, anzi la necessità di indignarsi e ribellarsi, rispetto ad un sistema politico ed economico, proteso a determinare siffatta situazione sociale e a reggersi su di essa.
Per essere ancora più espliciti, occorre dire che è oltremodo giusto indignarsi e ribellarsi, rispetto ad ogni prevaricazione del diritto, della legalità e della libertà  e rispetto ad ogni appannamento dell’etica civile. Ha ragione Stephane Hessel, autore del libro Indignatevi.
Chi svolge una funzione pubblica, in particolare, è bene che sia sottoposto continuamente ad un esame rigoroso della società e che, in caso di scorrettezze e porcherie, sia bersagliato dalla contestazione.
In questo quadro non si possono che salutare con piacere tutte le forme di indignazione e ribellione che vanno esprimendosi nel mondo ed anche nel nostro Paese, contro il dispotismo, le ingiustizie, la corruzione, il malaffare ed anche contro le inefficienze e le inadeguatézze.
Non possiamo certamente mettere sullo stesso piano le battaglie dei popoli magrebini, le contestazioni degli indignados spagnoli, le lotte dei lavoratori, dei precari, dei giovani e delle donne italiane, ma non possiamo fare a meno di cogliere in tutte queste manifestazioni una comune indignazione, rispetto ad uno stato di cose inaccettabile.
Rispetto a questo “mondo” in movimento non c’è da chiedersi se e quanto esso sia giustificato, perché la risposta la reputo scontata, in senso positivo, ma occorre necessariamente porsi il problema degli sbocchi possibili e dei processi che potrà determinare. 
Chi si indigna e si ribella attesta di essere vivo e mentalmente libero e, perciò, va apprezzato e sostenuto, ma dobbiamo sapere - la storia ce lo ha abbondantemente insegnato - che la ribellione può produrre risultati sicuri e duraturi solo se è sostenuta da un patrimonio ideale, culturale e progettuale e da una visione alternativa della vita e del mondo.
Alla base della Rivoluzione Francese, delle lotte proletarie del Novecento, delle lotte di liberazione dei popoli dal potere coloniale, della Resistenza al Nazifascismo, tanto per citare qualche esempio emblematico, c’era certamente una grande indignazione, ma c’era anche un pensiero politico e culturale profondo, sostenuto da un colossale patrimonio di ideali e valori.
Nel nostro Paese e in buona parte dei paesi europei, in questi ultimi anni, non sono mancati segnali di indignazione e neppure proteste e lotte, ma, spesso, il tutto è apparso come un corpo con debole spina dorsale. E così le fiammate, dopo un po’, si sono spente e, nella cenere, da una parte è riapparsa la rassegnazione e dall’altra l’arroganza del potere.
Tutto questo è avvenuto perché negli ultimi anni sono state criminalizzate le ideologie progressiste e hanno trionfato quelle del profitto e del mercato finanziario.
Per uscire da questa situazione bisogna nutrire l’indignazione di un solido pensiero alternativo e rivoluzionario.

martedì 24 maggio 2011

NON TUTTO E’ PERDUTO


Le ultime elezioni amministrative hanno dato quel segnale di inversione di tendenza, invocato  da Pier Luigi Bersani e atteso da tutte le persone di buon senso e amanti dell’Italia.
Gli elettori italiani, a cominciare da quelli di Milano, in maggioranza, la loro parte, l’hanno fatta, attestando che non tutti si lasciano comprare, manipolare e condizionare.
Dopo i tanti segnali venuti dalle piazze, dai luoghi di lavoro, dai tetti e dalle gru, ne è arrivato  uno molto significativo e consistente anche dalle urne.
Non mi sembra il caso di stappare le bottiglie di champagne e considerare chiusa la stagione di degrado, prodotta dal berlusconismo, ma sarebbe sbagliato non cogliere il messaggio politico, morale e culturale che ci è stato trasmesso dalla maggioranza degli elettori.
A nessuna forza politica di opposizione al governo Berlusconi-Bossi-Scilipoti, pertanto, è concesso di fare altri errori. Sappiano i dirigenti di queste formazioni politiche che gli elettori giudicheranno con grande attenzione e severità il loro comportamento, già rispetto al prossimo voto di ballottaggio e a quello referendario del 12 e 13 giugno.  
Non si tratta, infatti, di scadenze di scarso valore ma di appuntamenti decisivi per chiudere una stagione devastante ed aprirne una nuova ed edificante.
Assicurare un governo democratico e pulito negli enti locali e provinciali, difendere l’acqua da interessi speculativi, impedire il pericolo delle centrali nucleari, garantire l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge costituisce un dovere imprescindibile per tutte le forze politiche e per tutti i cittadini.
Bando, perciò, a tutti i calcoli egoistici e a tutte le manovre di sottopotere!
La luce accesa dagli elettori, domenica e lunedì, non va spenta per nessuna ragione!
I dirigenti dei partiti di centro-sinistra la smettano una buona volta e per sempre di scimmiottare la tecnica pubblicitaria berlusconiana e riprendano un cammino operoso, partendo da un dato elementare, ma molto eloquente: il consenso dell’85% della popolazione italiana, riscosso dal Presidente Napolitano.
Perché gli Italiani riservano al Presidente della Repubblica tanta fiducia?
Perché rappresenta e interpreta con rigore i principi costituzionali e la migliore storia del nostro Paese.
Ecco, da qui bisogna ripartire, per rapportarsi ai cittadini e aprire una nuova stagione.
Le fandonie della cosiddetta seconda repubblica devono essere spazzate via, perché hanno prodotto solo guasti, mettendo addirittura in pericolo la tenuta unitaria, democratica e morale del Paese.
Di cammino ce n’è da fare, perché il processo storico, travagliato ma costruttivo, riavviato con la Resistenza, negli ultimi 20 anni, è stato interrotto e sporcato.
Fortunatamente non tutto è perduto, per cui è possibile riprendere il cammino.
Questo nuovo percorso lo aspettano in tanti.
Tanti giovani, tante donne, tanti lavoratori, tanti esponenti del mondo della scuola, della  cultura, della sanità, della sicurezza, ecc, ecc, con il sostegno della parte migliore del sindacato ed anche da soli, hanno già, ripetutamente, espresso la volontà e disponibilità a dare il loro contributo ricostruttivo.
Le forze politiche democratiche e segnatamente della Sinistra sappiano nuovamente interpretare queste istanze, smettendo di interpretare la politica unicamente come strumento  di carriera, di gestione del potere e mercanteggiamento di posti.

lunedì 16 maggio 2011

SE I SEGNALI NON SI VEDONO


Il segretario del PD, Bersani, spera che il voto amministrativo, dia “un segnale di inversione di tendenza” all’andamento politico del Paese.
Su questa sua speranza, una volta tanto, non si sono registrati dissensi e “distinguo” da parte di esponenti del suo stesso partito.
Un vero miracolo! Speriamo che duri!
Non è detto, infatti, che l’eventuale segnale positivo, auspicato da Bersani, sia valutato in maniera equilibrata dagli altri dirigenti (?). Le vicende degli ultimi anni ci hanno detto che tutti i segnali, sia positivi che negativi, sono stati trascurati, ignorati o strumentalmente interpretati, per fini personalistici o beghe interne.
Se ci troviamo in questa fetida palude politica non è per punizione divina o luciferina, ma perché il ceto politico si è staccato dal tessuto sociale, smettendo di cogliere ogni segnale e consentendo, così, ai peggiori arrivisti di prendere in mano la situazione e sfruttarla a proprio beneficio.
Oggi, spesso, nel linguaggio corrente, si sentono giudizi molto pesanti nei confronti del popolo italiano, che avalla il sistema di potere dominante; non nascondo che anch’ io mi domando ripetutamente come sia possibile che un Paese come il nostro, con  tanta storia gloriosa, possa  essere caduto così in basso.
Se riflettiamo bene, però, non possiamo superficialmente attribuire tutte le cause del disastro al popolo, assolvendo, di conseguenza, il ceto politico.
Il popolo italiano, anche in questi ultimi anni, di segnali ne ha dato tanti!
Il vero dramma sta nella incapacità della politica di vederli, analizzarli e recepirli.
Facciamo qualche esempio.
1)Dopo la fase di “mani pulite”, che investì rovinosamente il sistema politico, la società italiana non rimase indifferente, ma che cosa fece la politica?
Invece di impegnarsi nel risanamento morale e civile, in una rigorosa operazione di pulizia,
i superstiti si diedero da fare per riciclarsi e riposizionarsi e per distrarre l’opinione pubblica, spostandola su problematiche, che poco avevano a che fare con la sporcizia diffusa. E così fu attivata la retorica della governabilità, che portò al cambiamento del sistema elettorale, allo squilibrio dei poteri, al trionfo del peggiore personalismo.
Con queste risposte è migliorata la governabilità? E’ stata risanata la politica?
Niente affatto! C’è stata la moltiplicazione dei partitini personali, si è alimentato il trasformismo, si è istituzionalizzata la corruzione, si è sacrificata la partecipazione consapevole dei cittadini alla politica, ecc.
2)Negli ultimi anni non sono mancate ondate di protesta della parte migliore della società, sull’affossamento della scuola e della ricerca, sul lavoro, sulla precarietà, sulle donne, sulla sicurezza, ecc, non è mancata nemmeno una entusiasmante partecipazione dei cittadini alle primarie, ma quale è stata la risposta della politica?
Manovre, inciuci, decisioni dall’alto, sostanziale inascolto dei cittadini.
3)Il trasformismo di tanti parlamentari dello stesso PD, passati spesso nel campo berlusconiano, è un segnale di gravi superficialità di dirigenti, che li hanno candidati, non fanno autocritica e restano spocchiosamente sulla scena. Quale risposta si dà a tali segnali?
Caro Bersani, ben venga “un segnale di inversione di tendenza”, ma si aprano gli occhi su tutto e si prendano a calci gli opportunisti, che portano solo sporcizia! Anche questo sarebbe un bel segnale!

lunedì 9 maggio 2011

I LAVORATORI NON SONO SCOMPARSI


Le manifestazioni di ieri, promosse dalla CGIL, dimostrano che i lavoratori non sono scomparsi dalla scena politica e sociale del Paese. Vivono certamente in una difficoltà enorme, ma, quando trovano un punto di riferimento, non mancano di esprimere il loro senso civico e la loro passione sociale e politica, con grande vitalità e consapevolezza, anche a costo di pesanti sacrifici.
Ieri, dunque, i lavoratori, ancora una volta, la loro parte l’hanno fatta, astenendosi dal lavoro e scendendo in piazza, rimettendoci di tasca propria.  I temi dello sviluppo economico, del lavoro, del welfare, del mezzogiorno, del futuro dei giovani e delle donne, della scuola e della ricerca, della democrazia e dei diritti, ecc, su cui hanno scioperato e manifestato non sono virtuali ma effettivi e reali.
Ora sta al mondo politico cogliere il senso di questa lotta, per trovare, in armonia con il mondo del lavoro, le risposte alle problematiche sollevate.
Pertanto c’è anzitutto da augurarsi di non essere costretti ad ascoltare sull’evento, come spesso è avvenuto in altre occasioni, fandonie offensive e sproloqui sconclusionati da parte di qualche ministro o dirigente (?) politico e persino da qualche sindacalista di altra organizzazione.
La situazione sociale che sta vivendo il nostro Paese è veramente preoccupante, per cui si richiede da parte di tutti equilibrio, senso di responsabilità e voglia di cambiamento.
Le manifestazioni di ieri non possiedono lo spessore e il carattere delle rivolte magrebine, ma non possono certamente essere valutate come una sceneggiata o una scampagnata primaverile.
E’ obbligo di tutti, a cominciare da chi svolge un ruolo di governo o di rappresentanza civile, interrogarsi sulle problematiche sollevate dai lavoratori e confrontarsi seriamente con le loro proposte.
Quella di ieri, infatti, non è stata solo una giornata di protesta ma anche e soprattutto di proposte strategiche per il presente e il futuro del Paese.
Se i vari livelli di governo la smettessero di giocare con i proclami pubblicitari, con il mercanteggiamento delle poltrone, con la gestione privatistica e clientelare del potere, con le manovre e i tatticismi, coglierebbero, forse, il messaggio preoccupato e, ad un tempo, propositivo dei lavoratori che sono scesi in lotta.
Se le stesse forze politiche di centro-sinistra decidessero di tornare a rivivere intensamente le problematiche del mondo del lavoro, capirebbero, forse, che il loro rinnovamento non sta nello scimmiottamento dell’avversario e nella spasmodica ricerca del potere, ma nella elaborazione di una diversa visione della vita e del mondo.
Nel corso degli ultimi mesi sono scesi in campo molti soggetti sociali, con rabbia e con proposte, il ché dimostra che nel Paese non mancano energie positive.
Ciò che manca è un chiaro progetto politico, capace di raccordare le varie istanze e proposte, in alternativa al processo distruttivo innescato, a livello generale, dal feroce capitalismo finanziario e, a livello nazionale, dallo spietato spirito corruttivo e antidemocratico, insito nel berlusconismo.
Se gli Italiani non vogliono precipitare, ancora una volta, in una fase di decadenza devono fare ogni sforzo per agganciarsi alle energie positive esistenti nel Paese.
La piattaforma programmatica, lanciata ieri, costituisca una parte fondante del processo ricostruttivo.