venerdì 7 dicembre 2012

PER NON RIPETERE GLI ERRORI


Dopo la vicenda di Mani pulite” e la crisi della cosiddetta Prima Repubblica, molti furono gli errori commessi dal mondo politico tradizionale, anche a sinistra.
Il trionfo dello spregiudicato avventuriero Berlusconi e della Lega, in sostanza, fu, soprattutto, il frutto di tali errori. La società civile si lasciò incantare dalla retorica mediatica del nuovismo e dell’antipolitica, perché le forze di opposizione al sistema che era crollato non seppero prospettare un sistema chiaramente alternativo, essendo rimaste anch’esse irretite dalla
propaganda  nuovista, personalista e liberista.
E così, in un clima di grande confusione e incertezza, si realizzò una vergognosa opera di riciclaggio di vecchi arnesi ed una possente azione egoistica e profittatrice.
Vennero gettate tutte le cose buone, sopravvissute alla bufera giudiziaria, e vennero conservate e riciclate  tutte le porcherie.
Per rendersene conto basterebbe passare in rassegna tutti i dati statistici relativi ai diritti civili e sociali, che sono andati modificandosi nel corso della cosiddetta seconda repubblica.
Ora, con il tracollo di Berlusconi, Bossi e soci, sembra riproporsi la scenario dei primi anni novanta del Novecento: populismo, qualunquismo e personaggi “taumaturgici”  (?) miliardari.
 Ancora una volta manca una rigorosa analisi critica della situazione e delle cause che l’hanno determinata, a beneficio del personalismo e del nuovismo parolaio.
Ancora una volta siamo di fronte ad una mancanza di proposte politiche chiare e al trionfo di sceneggiate mediatiche.
Gli attori, in parte, sono cambiati, ma la sceneggiatura, nella sostanza, è la stessa dei primi anni novanta.
O qualcuno onestamente può pensare che i vari Montezemolo, Samorì e quanti altri siano tanto diversi dai primi, Berlusconi, Bossi, Segni?
Le primarie del centrosinistra una ventata di aria fresca e pulita l’hanno diffusa nella società italiana, ma nessuno si illuda che possa bastare per rimettere le cose a posto.
La realtà economica, sociale e politica del nostro Paese è troppo compromessa perché possa bastare una semplice boccata d’aria nuova.
Quello che serve è un profondo e radicale risanamento, in tutti i campi della vita civile e politica.
La prima cosa da fare è la riscoperta e rivalutazione dei principi fondanti della nostra Carta Costituzionale.
Solo se si parte da questa base è possibile evitare di ripetere gli errori commessi negli ultimi venti anni.
La storia del nostro Paese può fare ben sperare, ma per uscire dal baratro in cui siamo precipitati non servono le improvvisazioni e le sceneggiate mediatiche. Serve un progetto serio, capace di riequilibrare il tessuto economico, sociale e territoriale.
Un progetto di questo tipo non può attivarlo né qualche “unto del Signore”, né una classe dirigente atrofizzata.
Rispetto alla classe dirigente, voglio ribadire quello che qualche anno fa  ho detto su questo stesso giornale: “Serve una rigorosa potatura, per garantirne la rigenerazione, altrimenti andrà sicuramente incontro ad una rovinosa autodistruzione, lasciando spazio non a piante più pregiate, ma ad arbusti e sterpi infruttiferi ed infestanti”.
E questa operazione deve esse fatta ad ogni livello, a cominciare dal nostro territorio, per evitare di andare incontro alla completa desertificazione.

venerdì 2 novembre 2012

PER FERMARE GLI SCASSATUTTO


Quella attuale sembra essere l’era degli scassinatori: in ogni campo, a cominciare da quello  istituzionale e governativo, la mania scassinatrice prevale sul senso di responsabilità e sul processo costruttivo.
Che, nella realtà sociale e nel sistema di vita, ci sia bisogno di un profondo cambiamento è un fatto indiscutibile, ma la storia ci insegna che, senza ideali, principi e valori, si fanno solo rovine e sfasci, non rivoluzioni.
Negli ultimi 20 anni, soprattutto in Italia, si è fatto passare per innovazione e ammodernamento un processo nefasto di disfacimento, nei vari campi della vita civile e morale: è stata calpestata la Costituzione, è stato menomato l’equilibrio dei poteri, è stato buttato nell’immondezzaio il codice penale e civile, è stato annullato il principio della rappresentanza, è stata compromessa l’autonomia locale, sono stati violentati i diritti civili, ecc, ecc.
I vari Berlusconi, Bossi, Calderoli, Tremonti, Sacconi, Gelmini… Bertolaso, Tanzi, Marchionne…hanno fatto a gara per distruggere regole e diritti, per svuotare lo Stato, per ricreare un clima feudale.
Ed oggi il governo dei cosiddetti tecnici, per necessità e nella presunzione  di salvare il Paese dalla bancarotta, certamente con maggiore savoir-faire, rispetto ai predecessori, continua a rottamare servizi e diritti, continua a far girare la ruota della storia all’indietro.
Per recuperare qualche soldo si continuano a sopprimere ospedali, tribunali, scuole, istituzioni, ma non vengono toccati i grandi privilegi e non vengono risanate le istituzioni.
Si continuano a spendere miliardi di euro per comprare aerei da combattimento, per tenere nostri contingenti militari in Afganistan, per ingozzare manager e dirigenti, per foraggiare enti inutili, centri di potere voraci e gruppi politici “fantasma”.
E così i poveri cristi, che non riescono a tirare avanti e a sbarcare il lunario, devono pure essere continuamente afflitti dalle scandalose vicende dei vari Lusi, Trota, Fiorito, Daccò, ecc.
Paradossalmente si può pure dire: “meno male che questi poveretti non vengono a conoscere tutte le porcherie che si consumano nel Paese, altrimenti sarebbe messo a rischio il  loro stato mentale”.
O pensiamo, ad esempio, che potrebbe non avere alcun peso su queste persone, una notizia come quella delle ultime ore, seconda la quale ammonterebbero a più di 134 milioni di euro i compensi erogati, nel 2011, ai propri dirigenti da otto banche italiane?
Come reagire a questa politica scassinatrice? Lo so che non è facile trovare il percorso giusto, ma non bisogna arrendersi. Bisogna puntare ad una strategia radicalmente alternativa e rivoluzionaria, nutrita di principi sani e proposte egualitarie.
Aleggia all’orizzonte, invece, una strategia qualunquista, che fa di tutta l’erba un fascio e non si sforza minimamente di individuare le diversità esistenti nella società.
A un sistema di potere scassa-tutto si contrappone una protesta anch’essa scassa-tutto.
Attenti! La politica grillina e rotta- matrice renziana coglie certamente la malattia della nostra società, ma, se non è sostenuta da una diagnosi seria della realtà e da proposte alternative concrete e di fondo, alla fine, potrebbe addirittura fare il gioco dei grandi poteri,  che ci hanno portato allo sconquasso.
O vogliamo far finta di non capire quali sono i veri obiettivi dei vari Berlusconi, Montezemolo, Marchionne, ecc?

LA LOTTA DI CLASSE DEI CETI DOMINANTI


In questi giorni, i potenziali elettori del centro-sinistra, anziché essere stimolati da idee e proposte alternative al sistema politico, economico ed etico, che ci ha fatto precipitare nella più grave crisi dell’età repubblicana, vengono afflitti da strumentali scontri personalistici e da campagne qualunquiste sulla “rottamazione” della classe dirigente.
In mancanza di una riflessione seria su quanto è avvenuto nel mondo e nello stesso nostro Paese dagli anni ’80 del Novecento ad oggi e in assenza di un progetto politico chiaramente alternativo, lo stesso reale bisogno di rinnovamento della classe dirigente rischia di impantanarsi e restare una chimera. Il vero rinnovamento si fa con le idee, con le proposte programmatiche, con lo stimolo alla partecipazione attiva dei cittadini, con la crescita culturale della società, con il potenziamento del senso civico ed etico della gente, ecc, non con le sgomitate degli avventurieri, le sculettate delle veline e le giravolte dei trasformisti.
Di personaggi di questo tipo le aule parlamentari e le varie istituzioni sono già troppo piene.
Le persone che vogliono realmente il cambiamento del sistema di vita e la rigenerazione della politica, più che farsi inebriare da strumentali e qualunquiste campagne di personaggi rampanti, farebbero bene ad analizzare con profondo senso critico il processo politico, culturale, morale, sociale ed economico in corso.
Nessun progressista serio può far finta di non sapere che alla base di un vero rinnovamento non può esserci che il sovvertimento del ruolo egemone che il capitalismo finanziario ha esercitato e continua ad avere sul mondo.
 Il terribile salto indietro, che si è avuto negli ultimi anni, è stato determinato da una vera e propria lotta di classe, condotta dall’alto verso il basso, dai ricchi contro i poveri.
Il vecchio obiettivo dei padroni di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, con  il neoliberismo, è stato addirittura superato in peggio, in quanto si è continuato a privatizzare i profitti, ma si sono totalmente scaricati sui ceti sociali più deboli le perdite.
In questo quadro, i governi europei, per soccorrere le banche e le istituzioni finanziarie hanno sborsato la bellezza di tre trilioni di euro e per risanare i bilanci, che prima hanno disastrato, hanno proceduto a massicci tagli allo stato sociale.
E così l’austerità è diventato un eccellente strumento di lotta dall’alto verso il basso.
In poche parole i governi europei, compreso quello italiano dei professori, si sono messi a rimorchio del sistema finanziario invece di provare a riformarlo.
Emblematico è il fatto che quando la BCE deve prestare dei soldi ai Paesi in difficoltà, non può farlo direttamente agli Stati,  ma deve farlo attraverso le banche, che, naturalmente li utilizzano guadagnandoci sopra. Che capolavoro!
Se si continuasse nella rassegna delle porcherie del sistema si dedurrebbe la necessità assoluta del cambiamento, anche delle persone che hanno consentito tutto quello che è avvenuto, ma il rinnovamento vero non è determinato solo dall’appropriazione di qualche poltrona.
Mi permetto, a questo punto, di suggerire ai rottamatori rampanti di andare a rileggersi qualche vecchio testo politico e se, facendo ciò, temono di passare per nostalgici, vadano a leggersi almeno l’ultimo libro del professore e sociologo Luciano Gallino “LA LOTTA DI CLASSE DOPO LA LOTTA DI CLASSE”-  

venerdì 12 ottobre 2012

NO ALLA RASSEGNAZIONE !


“Ulula il lupo sugli altipiani irpini. - Geme nel suo dolore - nella terra calpestata dai greci- dai romani, dai bizantini, - dal suo popolo e da Ruggiero il Normanno.
Corri lupo…corri, - dillo a tutti che i romani sono tornati, - quelli di oggi, con armi ancora più forti – a rivendicare ciò che non fu mai loro: la nostra terra.
Va, dillo a tutti che siamo di nuovo in guerra. - Dillo non temere, urla il tuo dolore…
E non tornare più indietro sino a quando – le zampe non si saranno rotte – e gli artigli schermiti – e le fauci morenti – e gli occhi spenti.
Dillo lupo… dillo, -o addio per sempre.….”

“… Sud, ti sei perso ancora! – Questa volta non dietro i saraceni, - i crociati o i bizantini, - ma dietro le tue stesse strade – il tuo stesso mare – i tuoi stessi sogni – il tuo stesso labirinto. – Sud, vita negata sino a quando – ti nasconderai ancora – dietro le imposte delle finestre – o i muri a secco dei confini – o le piante di capperi – o le tue stesse paure, - dietro il presente come il passato, - schiavo ancora delle speranze…”

“Se arretri, altri avanzeranno.-Se lasci, altri prenderanno il tuo posto. – Se perdi, altri vinceranno. – Se volterai le spalle, - altri ti pugnaleranno. – Se pensi che tutto questo possa essere – un danno per te e la società nella quale vivi, - vai avanti e non fermarti mai”.

Questi versi, tratti da alcune poesie del nostro conterraneo Domenico Cambria, contenute nel suo libro, intitolato “Profondo Sud”, non manifestano solo uno sconfinato amore dell’autore per la nostra terra e per il Mezzogiorno, ma anche uno spirito battagliero e un desiderio di riscatto.
Questo sentimento non può che infondere un grande senso di gioia nell’animo degli Irpini e dei meridionali, perché attesta che non tutto è perduto.
Gli spazi irresponsabilmente lasciati dal sistema di potere, negli ultimi anni, alla filosofia (?) bossiana, calderoliana, borghesiana, rispetto al Mezzogiorno, fortunatamente non hanno spento tutte le luci.
Numerosi, infatti, sono i sintomi di vita, di riscatto, di risveglio che si manifestano nelle nostre terre e nell’intero Mezzogiorno.    
Mi vengono, in proposito, in mente le tante iniziative di carattere culturale che vengono organizzate da intellettuali, giovani, donne, semplici cittadini nei vari paesi dell’Irpinia, gli ottimi studi sulla storia e sulle tradizioni irpine, che, ogni domenica, vengono pubblicati su questo giornale, le riflessioni di tanti cittadini, che, quotidianamente, vengono riportate su questo ed altri giornali, le tante iniziative che vengono attivate da associazioni, circoli e strumenti di informazione, ecc.
Ciò che manca, purtroppo, è un’idea motrice, capace di dare impulso alle varie iniziative, coordinandole e facendole vivere oltre il contingente.
Importante, comunque, è che nelle nostre terre ci siano le risorse, le energie, le idee, capaci di porre un argine alla sfiducia, alla rinuncia e al degrado.
Dovrà pur venire il giorno nel quale la buona Politica si accorgerà dell’esistenza di questo patrimonio e si adopererà per valorizzarlo e metterlo in azione, smettendo di coltivare solo la salvaguardia egoistica del potere e dei privilegi!

UN NUOVO PRIMO COMANDAMENTO PER GLI ITALIANI


Negli anni del CAF (governo Craxi-Andreotti-Forlani) la politica italiana subì un duro colpo, con ricadute devastanti sula vita civile, culturale ed etica del Paese.
Il processo politico, instauratosi dopo quella fase, a seguito dell’azione di “mani pulite”, per la mancanza di una seria analisi critica e di un conseguente risanamento della situazione, è andato incontro ad altri e ancora più devastanti guasti.
La rottamazione di parte della vecchia classe dirigente, accompagnata da una innovazione strumentale e condita di sporchi riciclaggi, ci ha portato  alla rovina.
Negli anni della cosiddetta seconda repubblica i poteri forti e ingordi hanno preso il sopravvento, stabilendo la loro egemonia sulle istituzioni e sulla vita del Paese, attraverso i processi economico-finanziari e il sistema informativo.
Grazie a questo andazzo, mal contrastato se non addirittura avallato dagli “innovatori” dell’opposizione, i grandi poteri personali hanno rimpiazzato le forze collettive, i carismi dei singoli hanno sopraffatto il senso di responsabilità personale e collegiale, la ricerca spasmodica del potere ha portato all’annullamento del confronto e del controllo  e al depotenziamento dell’opposizione.
In questo quadro i principi fondanti della Costituzione  sono stati soppiantati da comportamenti utilitaristici, lo Stato è stato svuotato, i governi delle autonomie, a cominciare da quelli regionali, hanno assunto la forma del presidenzialismo assoluto, fino al punto che, nel linguaggio corrente, ai presidenti venisse assegnato il titolo di governatori.
Perché meravigliarsi se, in questo processo, l’Italia è arrivata ad occupare gli ultimi posti in tutte le graduatorie delle conquiste civili e sociali dei paesi sviluppati ed i primi posti nelle graduatorie della corruzione e del malaffare di tutti i paesi del mondo?
Che fare, a questo punto? Bisogna assolutamente voltare pagina e farlo subito, prima che la situazione precipiti in maniera irreversibile! E questo cambiamento radicale deve riguardare  certamente il campo economico, ma deve investire soprattutto  il campo culturale, morale e politico.
Non mi sembra, purtroppo, che ci sia piena consapevolezza della situazione.
A dominare sono ancora e sempre di più i poteri forti, che alimentano e utilizzano la crisi della politica, per stabilizzare la loro egemonia sullo Stato e sulla società.
D’altra parte molti degli stessi protagonisti critici del sistema politico in atto, da Montezemolo a Grillo, a Renzi, ecc, nella sostanza, si muovono nella logica, usata da Berlusconi e Bossi, dopo la crisi della prima repubblica.
Su questa strada, finanzieri, banchieri, manager, tecnici e via dicendo continuerebbero ad ingozzarsi ed il Paese scivolerebbe ancora di più nella palude.
La strada da seguire è un’altra, diametralmente alternativa.
Lo so che non è facile rivoluzionare le cose: per farlo serve una politica nutrita di cultura, valori, ideali, progetti e che sia anche capace di svolgere una funzione edificante e formativa nella società.
Si tratta di un percorso laborioso e difficile, ma, in attesa che tale processo maturi, si cominci subito con il risanamento etico e civile del sistema e della società. Basta risanare la politica, battere l’evasione fiscale, stroncare la malavita organizzata, per recuperare tutte le risorse necessarie per far crescere il Paese. C’è qualcuno che può negare questa verità?
Oggi, il primo comandamento per gli Italiani deve essere il risanamento morale.
Stiamo tranquilli: si arrabbierà Berlusconi ma non il Padre Eterno!

QUANDO MUORE ANCHE LA SPERANZA


Per l’Irpinia anche la speranza, che, secondo un vecchio detto, è l’ultima a morire, si trova in uno stato di preoccupante agonia. Non passa giorno, infatti, in cui non sopraggiunga una notizia negativa: fabbriche che chiudono, ospedali che vengono smantellati, tribunali che vengono soppressi, stazioni ferroviarie che vengono annullate, pronti soccorsi che vengono aboliti, uffici  e servizi che vengono trasferiti, ecc.
Siamo di fronte ad un vero e proprio bollettino di guerra.
In questo allarmante bollettino, da giorni, campeggia la vicenda della riduzione delle Province, con le possibili ricadute negative sul territorio e sullo stesso ruolo della città di Avellino come capoluogo. Il tutto, come spesso avviene, è intorbidito ed aggravato dalle manovre dei soliti notabili.
Rispetto allo scenario complessivo servirebbe una lucida riflessione critica, capace di portare ad un progetto politico profondamente alternativo al percorso in atto e riaccendere la speranza di un futuro migliore o almeno accettabile.
A dominare, invece, è la passività della classe dirigente (?), che preferisce trastullarsi in sceneggiate mediatiche, passerelle e manovre di potere.
Non si può continuare così ! Se non lavoreremo per cambiare radicalmente le cose, passeremo  alla storia come la generazione, che ha portato le nostre terre alla desertificazione.
La spinta al cambiamento deve venire dal basso, dalle nostre terre, dalla società, nelle sue varie articolazioni, perché il sistema di potere generale appare, in buona parte, orientato a far girare la ruota della storia all’indietro.
In questo processo regressivo, purtroppo, sono rimaste imbrigliate o prigioniere anche le forze politiche migliori, perché i grandi potentati economici e finanziari sono riusciti, attraverso gli strumenti di informazione asserviti, ad orientare l’attenzione di tutti verso il PIL, lo Spread, la borsa, staccandola dal lavoro, dal sistema produttivo, dal Welfare.
Se così non fosse non si potrebbero spiegare i tanti fenomeni che travagliano la vita del nostro Paese, in generale, e della nostra terra, in particolare.
Le fabbriche chiudono, ma i manager, che le hanno portate alla crisi, vengono “risarciti” con buonuscite milionarie;
Le tasse aumentano, ma i servizi e le potenzialità lavorative diminuiscono in maniera drammatica;
Le popolazioni si danno da fare per valorizzare le risorse del territorio, ma il sistema di potere premia solo gli speculatori, gli arrivisti e gli imbroglioni;
Gli evasori fiscali vengono lasciati liberi di fare quello che vogliono o, al massimo, ricevono un condono, ma i poveri pensionati  vengono condannati a restituire la quattordicesima, ricevuta dal governo Prodi;
La società civile manifesta senso di responsabilità, sopportando sacrifici e privandosi anche delle cose essenziali, ma nelle stanze del potere si sperperano soldi a palate.
Pensiamo a quello che è venuto fuori, negli ultimi giorni, nella regione Lazio !
A questo punto urge, per tutto il Paese e soprattutto per il Mezzogiorno e la nostra Irpinia,una risposta ferma e decisa:  tutti coloro che non vogliono perdere ogni speranza di futuro, nella politica, nel mondo della cultura, nel mondo del lavoro, nella società, facciano sentire la loro voce, nella ricerca di una strategia alternativa al processo devastante in atto.
Le risorse e le energie ci sono: bisogna valorizzarle e farle contare.

mercoledì 19 settembre 2012

IL RINNOVAMENTO DEI NOTABILI


Nessuno può negare la necessità di un profondo processo di rinnovamento nel sistema politico italiano: la situazione, infatti, è così degradata da mettere in serio pericolo la stessa tenuta democratica del Paese.
Ciò che non può essere accettato è il diluvio retorico portato avanti, sul problema, dal notabilato, che guazza e prospera nel sistema.
La strumentalità delle posizioni di questi personaggi è evidenziata dall’assoluta mancanza di una visione chiaramente alternativa, sotto l’aspetto politico, culturale e morale, rispetto al sistema imperante.
Le battaglie per il rinnovamento (?) della maggior parte di questi notabili, nei fatti, non sono altro che sporche sgomitate per l’occupazione delle poltrone ed hanno il sapore delle famigerate risse tra vassalli, baroni, conti, marchesi, duchi, ecc, del vecchio feudalesimo.
In definitiva, più che la messa in discussione del sistema di potere, della visione del mondo, del modo di vivere, dietro la retorica del rinnovamento, nella maggior parte dei casi, si nasconde la lotta per la carriera personale.
In questo quadro tutto fa brodo: il qualunquismo, il populismo, lo scandalismo, il sentimento anticasta, la diffusione della sfiducia, il delirio dell’onnipotenza, il senso dell’impunità, ecc, ecc.
A dominare, in questo processo, naturalmente, sono gli strumenti di informazione asserviti, che esercitano, nella società e sulla società, un ruolo manipolatore e sostanzialmente dittatoriale.
E così sono passati e continuano a passare per innovatori personaggi, tipo Berlusconi, Grillo,  , Montezemolo, Passera, Renzi, Ichino, Calearo, Scilipoti, ecc.
Tutti sembrano aver dimenticato che la vera Politica non può essere basata sul personalismo e sulle appariscenze, ma sugli ideali, sui valori, sui progetti concreti.
A tutti sembra essere sfuggito che il fondamento essenziale della buona Politica è la partecipazione e il coinvolgimento delle masse popolari.
Se di rinnovamento, pertanto, si vuol parlare, non si può partire dai notabili e dai singoli personaggi, imprenditori, tecnici, sindaci, comici che siano, ma dalla massa dei cittadini.
Se di rinnovamento si vuol parlare non si deve perseguire la distruzione delle grandi conquiste della storia, per ripristinare nella società, in altre forme, il sistema di potere feudale.
In Italia e nel mondo intero esistono delle pietre miliari di grandissimo valore, dalla Carta Costituzionale alla Dichiarazione Universale dei Diritti umani, tanto per fare qualche esempio,
che non possono essere calpestate.
Nella storia dell’umanità esistono dei fondamenti culturali, civili ed etici incancellabili, prodotti da grandi movimenti di pensiero, quali il Rinascimento, l’Illuminismo, il Socialismo, la Resistenza, tanto per citarne alcuni, che non possono essere scartati o messi in gattabuia.
Certo, ogni cosa, con il passare del tempo, può aver bisogno di un aggiornamento, ma non è certamente con il trionfo del personalismo e del notabilato che si possono adeguare alla realtà i grandi principi e le grandi conquiste che hanno onorato la storia dell’essere umano.
La realtà odierna, per essere modificata, ha bisogno di un grande processo rivoluzionario, capace di guardare al futuro e fare tesoro delle conquista del passato, non certamente di sceneggiate mediatiche di notabili,  comici, tecnici o rottamatori  che siano, unicamente interessati a trovare spazio nelle più ambite stanze del potere.

LA STORIA CI CONDANNERA’


Gli ultimi venti anni dell’Europa e dell’Italia, a cavallo del XX e XXI secolo, certamente non passeranno alla storia come una fase positiva ed apprezzabile. Quello che si sta combinando,   è veramente disastroso. La cosa più deprimente è che nel giudizio negativo non cadranno solo gli artefici diretti del disastro, ma anche la stragrande maggioranza della popolazione, che sta subendo passivamente il processo in atto.
Chi è cosciente di questo fatto non può stare più a guardare, senza far niente, in uno stato d’animo indifferente e apatico. Questo lo dico a me stesso e a tutti coloro che, in preda ad un senso di impotenza, si sono chiusi in se stessi, lasciando ai manigoldi di ogni tipo di fare il proprio comodo.
Se le cose non cambieranno presto, in maniera drastica, l’Europa di questi anni passerà alla storia non come la comunità che ha costruito,  ma come quella che ha distrutto la grande idea dell’Unità e l’Italia sarà ricordata come la terra che ha mortificato le grandi conquiste del Rinascimento, del Risorgimento, della Resistenza, della prima Repubblica.
E’ vero che nella storia ci possono essere  “corsi e ricorsi”, ma è altrettanto vero che la stessa storia ci ha fornito tutti gli insegnamenti e gli strumenti, per contrastare questo andamento.
Se i nostri migliori antenati, nonni e padri sono stati capaci di uscire dal colonialismo, dall’imperialismo e dal nazi-fascismo, non è accettabile che nella comunità attuale non si trovino le energie per prendere a calci nel sedere gli speculatori finanziari, i manovratori delle borse, gli ultraliberisti del mercato, gli istrioni caligoliani, che sperperano milioni e milioni di euro all’anno per palpeggiare le chiappe di qualche ragazza, i professori asserviti al potere bancario, che sanno mettere le mani solo nelle tasche di lavoratori e pensionati, i pagliacci milionari, che seminano artatamente sfiducia e qualunquismo nella società, ecc,ecc.
Come si fa, in Italia,  ad accettare passivamente che l’1  per cento dei nababbi, composto da una ristretta cerchia di 2.400 famiglie, possegga patrimoni per 1290 miliardi di euro, corrispondenti al 15 per cento dell’intera ricchezza nazionale e che il 10 per cento più benestante delle famiglie italiane ne possegga quasi il 50 per cento?
Come si può accettare che il nostro Paese, all’interno dell’area Ocse, sia al terzo posto nella classifica della diseguaglianza?
Come si fa a non rabbrividire di fronte  ad una evasione fiscale  di circa 150 milioni di euro all’anno ?
Che dire della pressione fiscale  del 42,6 %  sui redditi di lavoratori dipendenti e pensionati,  a fronte della risibile percentuale del 5,9 % di entrate fiscali provenienti da imposte sul patrimonio?
Che dire delle disoccupazione giovanile e delle condizioni del Sud del Paese?
Continuare nella rassegna di queste rivoltanti storture e porcherie diventa deprimente, per cui è meglio soprassedere.
A questo punto sorge spontanea una domanda: Cari compagni del PD  ( perdonatemi se sto commettendo il reato di rivolgermi  a voi ancora con l’appellativo compagno)  come fate  a sopportare o addirittura ad avallare un processo così devastante per la storia vostra e del nostro Paese e per la stessa democrazia?
Non ritenete che sia giunto il momento di far “resuscitare” Robespierre, Lenin, Che Guevara, ecc, ecc?

giovedì 16 agosto 2012

NON C’E’ SORDO PEGGIORE DI CHI NON VUOLE SENTIRE


“Con amarezza, sofferenza e dolore, dopo mesi di riflessione, sono arrivato alla decisione  di non rinnovare l’iscrizione al PD. A questo partito, con molta probabilità, continuerò a dare il mio voto, più per una scelta del meno peggio che per una condivisione della sua linea politica e comportamentale. Confesso di sentirmi molto a disagio nell’esprimere questo mio convincimento, ma non me la sento proprio di continuare ad essere militante di un partito, che ormai si muove in uno scenario completamente diverso, rispetto a quello genetico.
La scelta di stare politicamente a sinistra l’ho fatta da ragazzo e quella di iscrivermi al PCI l’ho fatta da giovane, nell’era berlingueriana. Sono stato segretario di sezione del PCI a Flumeri per vari anni.  Dopo la svolta, sono stato ancora segretario di sezione del PDS e membro della segreteria provinciale dei DS., cosa che ricordo con molto piacere. Sono stato, per nove anni, sindaco dell’Ulivo, di provenienza DS e come sindaco sono andato anche con la fascia tricolore a manifestare contro lo “scalone” maroniano per l’andata in pensione.  Per anni, a Flumeri, ho contribuito in maniera determinante e con il coinvolgimento dell’intera famiglia alla organizzazione della festa dell’Unità. In tutte le campagne elettorali ho fatto tutto quello che bisognava fare, senza mai tirarmi indietro.
Pur coltivando con convinzione tutti i valori e gli ideali tipici della Sinistra ho sempre mantenuto un comportamento equilibrato, distante da ogni posizione estremistica.
Anche quella odierna non è una scelta estremistica ma semplicemente una presa d’atto di una posizione politica del partito che non riesco a digerire.
Il sostegno cieco del PD al governo Monti, che sta massacrando lavoratori, pensionati, (altro che scalone) giovani, Mezzogiorno, ecc, senza gettare minimamente le basi per una uscita dalla crisi, non mi convince per niente.
Le lotte intestine all’interno del partito, a tutti i livelli, mi disturbano profondamente.
Lo spiantamento dell’organizzazione del partito in tutto il territorio e in tutti i luoghi di lavoro mi fa rabbrividire.
La sostanziale disattenzione di tutto il partito, al di là di qualche sceneggiata mediatica, rispetto alla vicenda della Irisbus, che sta affliggendo il nostro territorio, mi addolora profondamente.
Rispetto a questo processo negativo, molto lontano dalle idee, che erano alla base della nascita del partito non intendo sentirmi corresponsabile”.
Questo ragionamento, quasi alla lettera, è stato tenuto, dal compagno Sinibaldo Di Paola, ex sindaco di Flumeri, in un incontro amichevole, svolto al fresco di un albero, davanti casa sua.
Confesso di essere rimasto molto colpito non tanto dalle parole quanto dallo stato d’animo che ho colto in lui, nel corso dell’incontro. Nel suo ragionamento c’era sofferenza ma anche convincimento e lucidità. Di ragionamenti di questo tipo, oggi, se ne sentono tanti, ma sentirlo fare da una persona “eccessivamente” moderata ed equilibrata come Sinibaldo è veramente sconvolgente. Nell’ascoltarlo naturalmente non ho potuto fare a meno di riandare con il pensiero ai turbamenti che, qualche anno fa, hanno tormentato la mia testa e ai tanti sfoghi che da mesi mi tocca di sentire da parte di tanti e tanti compagni.
Non posso fare a meno, pertanto, di domandarmi come mai nei vari livelli della cosiddetta dirigenza del partito(?) non si colga  questo stato d’animo così diffuso e palpabile.
Che cosa si aspetta per voltare pagina? Dove si vuole arrivare?Perché non si attiva una riflessione critica sullo stato delle cose? Sembra dominare il vecchio detto: “non c’è sordo peggiore di chi non vuole sentire”.  Si sappia, però, che se continua questo andazzo, tutto andrà a scatafascio!

QUESTIONE MERIDIONALE EUROPEA


 La “questione meridionale” è ormai un fenomeno europeo e non più solo italiano:
con la nascita dell’euro la divaricazione tra le aree del Nord e del Sud del continente si è accentuata, in maniera preoccupante, in tutti i campi.
Questo è il fallimento più vistoso della politica europea!
Se si vuole salvare veramente il processo di integrazione europeista, pertanto, non si può prescindere da questo dato.
Ottusa ed allucinante appare, perciò, la politica che continua ad esser portata avanti dalle forze conservatrici europee, sotto la spinta della Merkel e dei poteri finanziari.
Con questa politica il destino della moneta unica e della stessa Europa Unita è segnato in maniera negativa.
E’ inutile girarci attorno: la realtà, per quanto possa essere amara, bisogna guardarla in faccia!
I governi della Grecia, del Portogallo, della Spagna e dell’Italia se vogliono mantenere l’euro e contribuire seriamente alla costruzione dell’Europa Unita devono certamente lavorare per risanare i loro bilanci, ma devono anche contrastare con decisione il percorso politico portato avanti finora dai poteri forti del Continente.
Bisogna bloccare subito e con fermezza la diffusione, anche a livello europeo, della “vulgata”, che, per anni e anni, ha afflitto e mortificato il nostro mezzogiorno: “i meridionali vogliono vivere di assistenzialismo e a spese dei cittadini operosi del Nord”.
Le cose non stanno così, né in Italia né in Europa, anche se le classi dirigenti meridionali di colpe, purtroppo, ne hanno molte.
Da questa consapevolezza deve partire la costruzione di un nuovo meridionalismo.
E’ su questo terreno che la Sinistra, nelle sue varie articolazioni, deve misurarsi, se vuole proporsi come alternativa credibile alla  Destra lobbista e speculativa, che ci sta portando nel baratro.
Per essere salvata, l’Europa ha bisogno di una diversa redistribuzione del reddito, del lavoro, dei servizi e non di strumentali manovre bancarie e borsistiche.
La barricata rigorista dura e pura, imposta ai paesi meridionali, non risolve i problemi ma li aggrava, a beneficio dei paesi più forti, delle aree territoriali economicamente più solide, dei ceti sociali più ricchi.
L’accentuarsi degli squilibri nella distribuzione del reddito, del lavoro e dei servizi a cui stiamo assistendo non è figlio del caso, ma di una scelta politica regressiva.
Rispetto a questo quadro tutta la Sinistra europea, a cominciare da quella italiana, deve uscire dalla pratica del puro gestionismo, profondamente subalterna alla logica liberista.
La sfida deve investire i temi delle transazioni finanziarie, della evasione fiscale, della regole del mercato, della legalità, della eguaglianza sociale, del diritto al lavoro, ecc.
Bisogna avere fiducia nei propri valori e nella propria storia.
I piccoli segnali innovativi, scaturiti dalla vittoria di Hollande in Francia attestano che non tutto è perduto.
Che bello se anche nella nostra terra si cominciasse ad uscire dalla logica della spietata cura del potere, per misurarsi con i temi del lavoro e dello sviluppo reale!
Che bello, ad esempio, se nella nostra terra ritornassimo a confrontarci non sull’occupazione di qualche poltrona, ma sulla valorizzazione delle nostre risorse, sull’utilizzo dei capannoni vuoti, sui contratti di solidarietà, sull’orario di lavoro, sul part time, ecc.
Anche piccoli segnali potrebbero contribuire all’apertura di una nuova stagione.

sabato 21 luglio 2012

SE LA CRISI DIVENTA UNA TRAPPOLA


La crisi che affligge l’Italia, l’Europa e gran parte del mondo occidentale non è figlia di una guerra, di un asteroide, di uno tsunami, ma del capitalismo finanziario, del liberismo, del mercato senza regole. Questa è ormai una verità inconfutabile!
Ogni nazione coinvolta in questo processo devastante, naturalmente, ci ha messo del suo,
ad opera della sua classe dirigente.
Quello che è avvenuto in Italia è emblematico:  al liberismo sfrenato, nel nostro Paese, si è aggiunta la politica degli sprechi, della corruzione e dell’indebitamento del CAF  (Craxi-Andreotti-Forlani), la politica degli interessi e affari personali del berlusconismo, la politica “modernista” e dell’annebbiamento dei valori sociali di buona parte della stessa Sinistra.
Così siamo giunti al tracollo economico, al più elevato squilibrio tra Nord e Sud, alla più alta disuguaglianza, alla più insopportabile disoccupazione, alla più preoccupante affermazione della malavita organizzata, alla più sporca evasione fiscale e inosservanza delle regole, al più spudorato calpestamento dei diritti, al sostanziale annullamento della Carta costituzionale e dello Stato…
Ed ora, dopo che il Paese è finito nelle sabbie mobili della recessione, ci tocca pure sentire, da parte degli artefici del disastro, che l’alternativa alla politica finora seguita è il peggiore degli inferni, che nel taglio della spesa sociale serve l’accetta  e non il bisturi,  che la troppa solidarietà mette a rischio l’Europa, ecc.
A sentire quello che dicono Berlusconi, alcuni politici conservatori europei ed alcuni giornalisti, alla Belpietro, c’è veramente da rabbrividire.
Questi personaggi, non potendo più sostenere la tesi-solfa, secondo la quale il liberismo, lasciando l’economia libera di correre a perdifiato sul mercato, promuoverebbe crescita e porterebbe benefici per tutti, ora cercano di far passare agli occhi degli elettori che dalla crisi si può uscire solo tagliando il sociale e sopprimendo il valore del diritto al lavoro.
Temendo, inoltre, che la politica, a causa del grande disagio sociale, possa riscattarsi dal servaggio e riacquistare il suo ruolo, che fanno questi personaggi? Si scatenano contro la politica, la partecipazione attiva, la casta, seminando sfiducia, qualunquismo e populismo, nell’intento di mantenere il potere nelle mani degli incantatori di serpenti: aziendalisti, tecnici o comici che siano.
Ecco come la crisi diventa una trappola, una gabbia, o, per dirla con le parole delle nostre nonne, un “mastriello” per topi.
Bloccati in questa trappola, i lavoratori, gli impiegati, i pensionati, i giovani … sono stati costretti ad ingoiare i bocconi amari ed avvelenati, prima somministrati da Berlusconi, Tremonti, Sacconi, Gelmini, ecc ed ora da Monti, Fornero, Passera, ecc.
Lo stesso Partito Democratico, che avrebbe potuto agevolmente vincere le elezioni, dopo il disastro berlusconiano, è rinchiuso nella trappola ed è costretto ad ingoiare e a far ingoiare agli Italiani continui bocconi amari, autodistruggendosi,  perché non può permettersi il “lusso” di scassare la trappola, facendo cadere il governo, voluto dal Presidente Napolitano.
E così tutti i cittadini continuano a subire mazzate, perché considerati “fannulloni”, “bamboccioni”, “super garantiti”, ed anche i politici migliori passano per “marioli”, come tutti gli altri.
Cari Irpini, coraggio! Con il taglio di ospedali, tribunali, uffici postali, guardie mediche, ecc, non saremo più costretti ad andare in Africa per conoscere il deserto!
Vi sembra poco?

IL MARCHIONNISMO PUO’ ESSERE SCONFITTO


La sentenza del giudice del lavoro con la quale è stato condannata la FIAT a riassumere 145 operai  iscritti alla FIOM-CGIL, vergognosamente discriminati dal manager  Marchionne, deve essere considerata una pietra miliare nella storia del diritto.
Anche in una fase difficile, come quella che stiamo vivendo, l’arroganza e la prepotenza dei padroni può essere fermata e sconfitta.
I principi sacrosanti, sanciti dalla Costituzione e conquistati attraverso grandi lotte del mondo del lavoro, non possono essere calpestati impunemente.
Sarebbe ora che lo capissero non solo Marchionne e soci ma anche tutti coloro che, rispetto al problema, sono stati conniventi o spettatori distratti e passivi.
I “professori” che attualmente occupano le poltrone ministeriali, i dirigenti sindacali concorrenti  e ipercritici rispetto alla FIOM, gli esponenti politici alla Sacconi, alla Ichino o alla Renzi traggano dalla sentenza la dovuta lezione.
Da tutti questi personaggi, purtroppo, non c’è da aspettarsi alcuna riflessione autocritica;
con matematica certezza saremo costretti ad assistere ad altre ostracistiche  fandonie.
Del resto non ci sarebbe niente di nuovo; il tutto è stato già sperimentato a seguito di altre sentenze dello stesso tipo.
Ben altro, invece, deve essere l’atteggiamento della gente comune e soprattutto delle persone che auspicano il ritorno ad una politica credibile e pulita.
La si smetta di andare, sotto la spinta dell’informazione asservita, a spaccare i capelli nei comportamenti della FIOM e si guardi con un minimo di senso critico a tutto quello che sta succedendo nella vita economica, sociale e politica.
Nei momenti cruciali è doveroso cogliere il senso profondo delle cose e non cincischiare intorno a presunti errori e limiti di altri.
La FIOM- CGIL, pur con gli errori che ha potuto commettere in qualche luogo di lavoro, ad opera di qualche suo rappresentante, è stata una delle poche luci accese, in una fase di grande oscurità generale.
E’ assolutamente inaccettabile che si assumano atteggiamenti di grande severità nei confronti di chi fa il suo dovere e si accettino ad occhi chiusi le azioni rivoltanti di personaggi che, fregiandosi dell’incarico di ministro del lavoro, si sono qualificati solo come ministri della divisione sindacale o del licenziamento.
So perfettamente che una sentenza non può cambiare il corso della storia, ma almeno serva a fare aprire gli occhi alle persone di buon senso.
Se si aprono gli occhi non si può non vedere il percorso all’indietro che i poteri forti hanno imposto alla società: le disuguaglianze sociali stanno vertiginosamente aumentando,  i diritti più elementari vengono sistematicamente calpestati, le speculazioni finanziarie stanno distruggendo la vita di milioni e milioni di persone.
Se si continuerà a camminare in questa direzione, fra qualche anno, nelle chiese non troveremo più le figure di Cristo, della Madonna e dei Santi ma i simboli del  “dio” profitto e del   “dio” mercato, imposti non più da dittature militari ma da dittature mediatiche e sondaggistiche.  
Tutto questo, però, non è inevitabile. La sentenza che condanna la Fiat e Marchionne dimostra che un altro percorso è possibile. E’ giunta l’ora di intraprenderlo con decisione!

martedì 19 giugno 2012

SVEGLIAMOCI !


 E’ doloroso ed anche imbarazzante tornare a parlare e scrivere sempre sugli stessi argomenti. Ma come si fa a stare zitti, se non passa giorno in cui non arrivi una “doccia fredda” sulle popolazioni irpine?
Un giorno chiude l’Irisbus o qualche altra fabbrica, in un altro giorno viene smantellato qualche ospedale, in qualche altro giorno viene preannunciata la chiusura dei tribunali, in qualche altro ancora si apprende la notizia dell’annullamento per l’irpinia della ferrovia dell’Alta capacità e così via…
Il lavoro, i servizi essenziali ( persino quello del 118),  le infrastrutture stanno ormai diventando un miraggio…,un sogno…,un incubo….
E mentre si verifica questo stillicidio di eventi e fatti devastanti, accompagnati, tra l’altro, da continue vessazioni di carattere nazionale, quotidianamente siamo pure costretti a subire le inondazioni di fandonie, promesse vuote, bugie, sceneggiate  dei vari mandarini dell’apparato di potere, che, nei fatti, risultano completamente assenti o inconsistenti, rispetto alle problematiche che affliggono il territorio.
So perfettamente che su alcuni problemi non è facile ottenere risultati immediati e soddisfacenti, ma so anche, per diretta esperienza, che, per un rappresentante dei cittadini nelle istituzioni, non deve esserci niente che possa impedire un impegno, un’azione, un tentativo.
Ci sono momenti in cui è obbligatorio, per i rappresentanti del popolo e per i politici in generale, fare la propria parte con decisione e dignità o, per dirla con un vecchio detto popolare, un po’ spinto, “mettere gli attributi sul tavolo”.
Se nemmeno nelle situazioni di emergenza si è capaci di fare dignitosamente la propria parte, fino alle estreme conseguenze politiche, è naturale che i cittadini siano spinti a domandarsi che cosa ci stanno a fare questi signori, nelle istituzioni.
Una domanda dello stesso tipo credo che dobbiamo porcela anche noi cittadini:
se continuiamo a stare inerti e passivi, rispetto al flagello che sta martoriando il nostro territorio, che diritto abbiamo di lamentarci?
E’ giunta l’ora di svegliarsi e uscire dal torpore!
Personalmente, qualche anno fa, dopo tante esperienze politiche, quasi sempre all’opposizione, nelle istituzioni, e in posizione piuttosto critica, all’interno dell’organizzazione politica di appartenenza, ritenni che fosse giunto il momento di farmi da parte e lasciare spazio al nuovo (?).
Riconosco di aver commesso un grave errore: il nuovo non sempre sta nei dati anagrafici, ancor meno sta nelle improvvisazioni o nei personalismi ambiziosi, ma nelle idee, nella passione e nell’etica civile.
Di fronte al processo che sta portando il nostro territorio alla desertificazione, bisogna uscire dalla passività, dalla retorica e dall’istrionismo.
Tutte le energie positive, vecchie e nuove, devono scendere in campo, per attivare una vertenza organica, capace di coinvolgere la maggior parte della popolazione.
Le istituzioni, a tutti i livelli, devono interpretare i bisogni e le esigenze delle popolazioni.
I rappresentanti istituzionali del territorio devono uscire dall’ambiguità e dalla politica dei calcoli personalistici, altrimenti è meglio che vengano presi a calci nel sedere e mandati a casa.
I cittadini, però, devono sapere che non è con la protesta antipolitica e qualunquista, alla Grillo, che si possono risolvere i problemi: occorre avere un progetto, coltivare un percorso etico  valorizzare tutte le risorse e le energie disponibili.

venerdì 1 giugno 2012

LA PROVA DELLA VICENDA IRISBUS


La vicenda della Irisbus di Valle Ufita costituisce certamente un incubo per i lavoratori rimasti senza lavoro, ma è anche un problema per tutti i cittadini del territorio ed una prova per tutte le forze politiche e sindacali. E’ assolutamente inaccettabile che, a distanza di vari mesi dalla chiusura della fabbrica, non si riesca ancora a capire dove si andrà a finire.
L’ultimo incontro avuto presso il Ministero dello sviluppo economico è deprimente.
A questo punto non si può perdere altro tempo: i rappresentanti istituzionali del territorio, ad ogni livello, escano dalle formalità, gettino la maschera della recita e delle buone maniere e usino tutti i mezzi immaginabili e possibili, per ottenere risposte chiare e risolutive.
Le stesse forze politiche e sindacali nazionali, rispetto al problema, hanno il dovere di cambiare strategia e percorso, perché la vicenda della Irisbus di Valle Ufita è emblematica, sotto molteplici punti di vista.
Nessuno può far finta di non sapere
-che la Irisbus è sostanzialmente l’unica vera azienda italiana costruttrice di pullman,
-che il parco autobus italiano è vecchio, fuori norma e da rinnovare, come ci dice la stessa Commissione europea,
-che l’insediamento di tale fabbrica è costato non poco alla casse dello Stato,
-che la chiusura di questa azienda costituirebbe, non solo per l’Irpinia ma anche per tutto il mezzogiorno, un colpo mortale ed un segnale distruttivo.
Marchionne non può fare il porco comodo suo e il Governo non può stare a guardare passivamente. E’ giunto il momento di uscire dalla nebbia e che ognuno si assuma le proprie responsabilità.
Se Marchionne vuole chiudere l’azienda dichiari il fallimento o la metta in vendita senza condizioni e lo Stato intervenga per comprarla o espropriarla.
Il mondo politico e istituzionale del territorio la smetta di fare sceneggiate e metta in atto tutte le iniziative possibili, per ottenere gli incontri necessari alla soluzione del problema.
Si faccia la convocazione contestuale e perpetua di tutte le istituzioni della provincia, si passi alle dimissioni da tutti gli incarichi ricoperti, si arrivi allo sciopero della fame di tutti i rappresentanti istituzionali, si organizzi l’assedio del Ministero dello sviluppo economico, si facciano scendere in piazza tutti i forconi e le “paroccole” disponibili, ecc, ecc.
Non si tratta di innescare la violenza, ma semplicemente di attivare tutte le iniziative, per ottenere il rispetto del dettato costituzionale e della dignità umana.
La violenza vera sta nell’azione di chi ritiene di poter calpestare tutti gli essere umani, per incrementare i propri loschi profitti.
Le popolazioni irpine e meridionali hanno tutto il diritto di reagire con forza e determinazione ai soprusi a cui vengono sistematicamente sottoposte, rifiutando le prediche dei “soloni” che hanno vigliaccamente avallato le porcherie padronali e leghiste.
Il Sud non si riscatta con le sigle sudiste dei fantocci asserviti, ma con l’impegno culturale e civile e con la lotta dura dei cittadini liberi.
Si parta dalle vicende della Irisbus, dei tribunali, degli ospedali, delle infrastrutture, per avviare un percorso veramente alternativo. Chi pensa solo alla poltrona è un traditore del territorio e del dettato costituzionale!

venerdì 4 maggio 2012

NON TUTTE LE FABBRICHE SONO IN CRISI


Negli ultimi anni, soprattutto per effetto del mercato globalizzato, in Italia ed in buona parte dell’occidente, molte fabbriche, ovvero molte aziende industriali, sono entrate in crisi, creando drammatici problemi sociali.
In compenso- si fa per dire- vanno per la maggiore le fabbriche dell’ignoranza, dell’illegalità e del malaffare, che producono altrettanti guasti.
Uscendo dal linguaggio figurato, possiamo dire, con certezza, di vivere in una fase storica caratterizzata da spasmodiche contraddizioni, che, però, si intrecciano e si motivano.
In questo quadro, la società globale sarà sempre più fortemente divisa in classi e ci porterà irrimediabilmente, per dirla con le parole del professore Marc Augé, verso una “oligarchia planetaria”.
Tutto ciò non è altro che il prodotto dell’intreccio vergognoso tra lo svuotamento del sistema produttivo basato sul rispetto dei diritti e il trionfo delle fabbriche dell’illegalità, del malaffare e dell’ignoranza.
L’aumento vertiginoso del divario in atto tra ricchi e poveri, infatti, è figlio di un meccanismo non funzionante della distribuzione della ricchezza, ma anche, simultaneamente, il prodotto di un processo volto a portare alcuni alla punta del “sapere” utilitaristico e a lasciare i più nella prigione dell’ignoranza.
L’Italia berlusconiana ha assunto, su questo terreno, un aspetto emblematico:
-un numero ristretto di personaggi, a cominciare dal capo del governo, si arricchisce sempre di più e centinaia di migliaia di famiglie cadono nella miseria;
-centinaia e centinaia di aziende chiudono perché i loro titolari scelgono di trasferire la produzione all’estero o di investire i profitti realizzati in attività speculative;
-le istituzioni vengono sistematicamente private dell’ossigeno democratico, per essere appaltate alle cricche malavitose e alle caste del potere;
-la TV viene sempre più privata del compito informativo e formativo, per essere trasformata in fabbrica di ignoranza;      
-la scuola, l’università, i centri di ricerca, le istituzioni artistiche vengono continuamente defraudate delle necessarie risorse finanziarie, perché perdano la funzione promozionale;
- la partecipazione dei cittadini alla vita democratica e alle decisioni fondamentali viene scientificamente vanificata e annullata, perché lo Stato assuma l’aspetto di un’ azienda privata.
Non credo che ci sia bisogno di continuare nella rassegna delle storture, che stanno facendo precipitare il Paese non solo in un grave squilibrio economico, ma anche e soprattutto nel degrado civile, etico e mentale.
Chi vuole salvare l’Italia dal baratro deve sapere che, accanto ad una svolta politica radicale, serve una profonda rivoluzione culturale.
Bisogna lavorare intensamente per bloccare e chiudere le fabbriche dell’ignoranza, dell’illegalità, della corruzione e del malaffare e per alimentare e sostenere le fabbriche produttive di beni, di conoscenza e di risanamento etico e civile.
Bisogna rovesciare l’intreccio, per ridare alla conoscenza, alla morale e al senso civico il ruolo di motori propulsivi e regolatori del sistema economico e sociale.
L’economia globalizzata richiede una grande capacità competitiva ma, per possederla, occorre potenziare la conoscenza, la tecnica, la qualità, il rigore.
Lo stesso discorso vale per la politica: il centrosinistra, per competere vittoriosamente con il Berlusca, non deve rincorrere il Villari o il Calearo di turno, ma prospettare una visione alternativa della società. 

SI APPLICHI LA COSTITUZIONE


Gli articoli del titolo III della Costituzione sanciscono con chiarezza e lungimiranza i rapporti che devono sussistere, tra proprietà privata e Stato, tra imprenditori e lavoratori.
Nell’attuale fase storica tali rapporti sono in crisi, a danno dei lavoratori e dello stesso Stato.
A farla da padrone, in dispregio di ogni regola, sono i detentori del potere economico, nelle sue varie articolazioni.
Rispetto a questo stato di cose si chiacchiera a sbafo, da parte di politici, politologi,  economisti, giornalisti, ecc, ma si prescinde, quasi sempre, dalle indicazioni del dettato costituzionale.
Secondo la Costituzione (art. 41), l’iniziativa economica privata è libera, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Tale principio è così netto da essere supportato da un altro comma ancora più netto: “ La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Gli articoli 42 e 43 ribadiscono i limiti della proprietà privata “ allo scopo di  assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” fino al punto da prevedere che possa essere “espropriata per motivi di interesse generale”.
-Rispetto alla decisione di Marchionne di chiudere l’Irisbus di Valle Ufita, costruita, in larga parte con i soldi dello Stato, per andare a produrre pullman in Francia e Cecoslovacchia,
-rispetto alla migliaia di imprese italiane che ogni anno smobilitano per andarsene all’estero,
-rispetto alle migliaia e migliaia di capannoni che restano vuoti, dopo essere stati costruiti con i contributi dello Stato, c’è qualcuno che si ricorda delle suddette norme costituzionali?
Si assiste a sceneggiate a non finire, a sproloqui fantasiosi, a promesse inconcludenti, ma i nodi veri non vengono mai affrontati e sciolti.
Se lo Stato e le varie istituzioni vogliono affrontare veramente la situazione non possono fare altro che applicare le norme costituzionali e arrivare anche all’esproprio degli stabilimenti che vengono chiusi, dei capannoni che restano vuoti, delle aree attrezzate abbandonate.
Si tratterebbe, oltretutto, di un sostanziale recupero di ciò che è stato superficialmente dato!
Lo so che, con i tempi che corrono, questa può apparire una posizione politica anacronistica, ma occorre sapere che, per l’uscita dalla crisi e per la crescita, non c’è altra strada.
O vogliamo continuare a spendere i soldi della collettività solo per sostenere banche e lobby finanziarie che ci hanno portato al collasso?
A proposito, vorrei invitare i tanti sapientoni della nostra terra, che non la smettono di parlare a vanvera sullo sviluppo, a fare un piccolo sforzo e andare nelle varie aree industriali della provincia, per cogliere con mano l’abbandono in cui versano: l’unica cosa che resta, spesso, è l’illuminazione pubblica notturna di lampioni non ancora fulminati, su branchi di cani randagi, che camminano tra le sterpaglie o trovano riparo sotto le tettoie di qualche capannone abbandonato.
Troverete, cari signori, anche qualche macchina, ma abbiate l’accortezza di non avvicinarvi troppo, per non disturbare le coppie appartate. Sono ben altre le persone da disturbare!

CARI MERIDIONALI NIENTE E’ IMPOSSIBILE


Gli Italiani, soprattutto al Sud, sono in preda ad una crisi di fiducia e a una perdita di speranza.
Lo testimoniano molti dati:
-tre milioni di persone disoccupate sono così scoraggiate da non cercare più alcun lavoro,
-il primo partito italiano è quello degli astensionisti, che raggiunge il 36% della popolazione,
-l’Italia, con percentuali molto alte soprattutto nel Mezzogiorno, è tra i primi paesi dell’Ocse per abbandono scolastico,
-ogni giorno, in Italia, c’è un suicidio per perdita di lavoro e di ogni speranza di vita decente.
L’elencazione di dati catastrofici sullo stato d’animo degli Italiani e segnatamente dei meridionali potrebbe allungarsi molto, ma è meglio non insistere.
Al pessimismo dell’intelligenza bisogna accoppiare sempre, gramscianamente, l’ottimismo della volontà. Niente è impossibile per chi ha buona volontà e rispetto per la vita!
Bisogna solo lavorare e battersi, con tutti i mezzi, per rivoluzionare lo stato delle cose, imposto da un sistema di potere ingordo, iniquo e prepotente.
E’ giunta l’ora di correggere lo squilibrato processo unitario del Paese, che, negli ultimi anni, col governo Berlusconi-Bossi, ha assunto aspetti assolutamente insopportabili.
E’ giunta l’ora di reagire con forza e determinazione alla politica distruttiva del Mezzogiorno.
Bisogna smetterla di considerare semplici battute folcloristiche le terribili affermazioni  di parlamentari leghisti sui meridionali, accompagnate sempre  da altrettanto terribili provvedimenti governativi. Pensiamo, ad esempio, all’ultima farneticazione di Borghezio sulla necessità per lo Stato di vendere agli USA la Sicilia e la Campania, per risanare le finanze e liberarsi dal peso di questi territori.
Come si fa a non sentirsi umiliati al solo pensiero di aver tollerato come alte cariche del Governo e del Parlamento personaggi come Bossi, Maroni, Belsito, Rosi Mauro, ecc?
Cari Irpini, cari meridionali usciamo dallo sconforto, liberiamoci dalla sfiducia:
il Mezzogiorno può e deve diventare un’area dell’Italia e dell’Europa dinamica e propulsiva.
Lo è stata già tante volte, nel corso della storia. Ora, nel quadro dei grandi processi politici in corso in vari paesi del Mediterraneo, il nostro Sud può riassumere un ruolo attivo e determinante. Bisogna solo che, a livello istituzionale, si esca dalla logica del contingente e della semplice gestione del potere e, a livello culturale, politico e umano, si entri in una logica costruttiva e progettuale. Il Sud deve diventare un’area strategica nei rapporti commerciali, nella produzione di qualità, nella ricerca e nella innovazione.
Basta, perciò, con le sole vertenze contingenti ed occasionali; i meridionali abbiano l’ambizione di conquistarsi un’egemonia culturale nella costruzione di un progetto alternativo a quello che ha portato l’intera Italia nell’attuale palude.
Difendiamo con le unghie e i denti tutti i servizi che ci vogliono sottrarre, ma rendiamoci anche conto che queste nostre battaglie potranno avere qualche successo solo se viene rivoluzionato il processo politico in atto. E questo deleterio processo potrà essere invertito solo da una battaglia senza quartiere, per la conquista delle infrastrutture strategiche, che finora ci sono state negate e attraverso un piano organico, che faccia del Mezzogiorno il cantiere  della cultura e della ricerca, dello sviluppo tecnologico e della produzione eccellente, della logistica commerciale e dei rapporti diplomatici.

lunedì 9 aprile 2012

PER USCIRE DALLE SABBIE MOBILI


Non è piacevole doverlo ammettere, ma ormai, in Italia, siamo sulle sabbie mobili.
La situazione economica, politica e morale del Paese è tale da non lasciare grandi speranze.
Coloro che, dagli scranni del potere, cercano di mistificare la realtà, attraverso gli strumenti di informazione asserviti, non fanno altro che rendere peggiore la situazione.
I dati del debito pubblico, che assommano a circa due mila miliardi di euro, della evasione fiscale, che supera i 120 miliardi annui, della disuguaglianza sociale, che registra il patrimonio di dieci famiglie uguale a quello di 3 milioni di persone, della disoccupazione giovanile, che raggiunge l’indice del 32 % , ecc, ecc, sono così eloquenti da non consentire più alcuna falsificazione della realtà.
I provvedimenti del governo Monti, in sostanziale continuità con quelli del governo Berlusconi, non ci faranno uscire dalle sabbie mobili, al massimo prolungheranno l’agonia di milioni e milioni di Italiani, dal momento che non si propongono di ribaltare seriamente il sistema economico, che ci ha fatto precipitare nella crisi.
E’ chiaro che il problema non è solo italiano ma anche europeo e addirittura mondiale, perché alla base dell’impaludamento generale ci sono le scelte nefaste del capitalismo finanziario e speculativo, del liberismo sfrenato e del mercato senza regole.
La mancanza di una ipotesi alternativa a questo sistema economico, sociale e politico non poteva che portare all’attuale disastro.
Non occorre essere preveggenti per capire che le cose non potranno continuare così all’infinito: ad un certo punto qualcosa succederà.
Il guaio è che la rottura del processo potrà essere tanto più traumatica quanto più la situazione si sarà incancrenita. La storia ce lo ha ampiamente insegnato.
E’ necessario ed urgente, pertanto, che le persone, le energie e le forze politiche e sociali, consapevoli dello stato delle cose, non perdano altro tempo, nella ricerca di palliativi o addirittura nello scimmiottamento degli autori del disastro.
Non si sfugge al pericolo dello sprofondamento, continuando a guazzare nella palude!
La modernità non sta nella riproposizione di vecchie e rancide ricette, furbescamente riciclate dai soliti detentori del potere.
Per uscire dal sistema paludoso nel quale viviamo servirebbe, naturalmente, una visione della vita e del mondo completamente diversa da quella dominante, ma è sbagliato attendere che ce la porti qualche Messia.
Bisogna costruirla con pazienza e tenacia, luogo per luogo, giorno dopo giorno, partendo dai bisogni essenziali degli esseri umani, singoli e collettivi, e ispirandosi a ciò che di meglio essi hanno costruito nel corso dei tempi.
Tutti i grandi processi rivoluzionari, che hanno segnato la storia dell’umanità, sono stati sempre generati da robusti movimenti culturali, mai da qualche bacchetta magica. 
La vera e sana Politica non è quella personalizzata e gestionale, ma quella che si nutre di idee e valori, che interpreta i bisogni delle persone in carne ed ossa e che si radica nel territorio.
Pensiamo per un attimo a tutti gli stomachevoli mercanteggiamenti che si sono verificati, nei giorni scorsi, nei Comuni, che dovranno andare al prossimo voto amministrativo e ci renderemo subito conto della pericolosità della palude, che sta inghiottendo fabbriche, ospedali, tribunali, infrastrutture, servizi, ecc.