venerdì 4 maggio 2012

NON TUTTE LE FABBRICHE SONO IN CRISI


Negli ultimi anni, soprattutto per effetto del mercato globalizzato, in Italia ed in buona parte dell’occidente, molte fabbriche, ovvero molte aziende industriali, sono entrate in crisi, creando drammatici problemi sociali.
In compenso- si fa per dire- vanno per la maggiore le fabbriche dell’ignoranza, dell’illegalità e del malaffare, che producono altrettanti guasti.
Uscendo dal linguaggio figurato, possiamo dire, con certezza, di vivere in una fase storica caratterizzata da spasmodiche contraddizioni, che, però, si intrecciano e si motivano.
In questo quadro, la società globale sarà sempre più fortemente divisa in classi e ci porterà irrimediabilmente, per dirla con le parole del professore Marc Augé, verso una “oligarchia planetaria”.
Tutto ciò non è altro che il prodotto dell’intreccio vergognoso tra lo svuotamento del sistema produttivo basato sul rispetto dei diritti e il trionfo delle fabbriche dell’illegalità, del malaffare e dell’ignoranza.
L’aumento vertiginoso del divario in atto tra ricchi e poveri, infatti, è figlio di un meccanismo non funzionante della distribuzione della ricchezza, ma anche, simultaneamente, il prodotto di un processo volto a portare alcuni alla punta del “sapere” utilitaristico e a lasciare i più nella prigione dell’ignoranza.
L’Italia berlusconiana ha assunto, su questo terreno, un aspetto emblematico:
-un numero ristretto di personaggi, a cominciare dal capo del governo, si arricchisce sempre di più e centinaia di migliaia di famiglie cadono nella miseria;
-centinaia e centinaia di aziende chiudono perché i loro titolari scelgono di trasferire la produzione all’estero o di investire i profitti realizzati in attività speculative;
-le istituzioni vengono sistematicamente private dell’ossigeno democratico, per essere appaltate alle cricche malavitose e alle caste del potere;
-la TV viene sempre più privata del compito informativo e formativo, per essere trasformata in fabbrica di ignoranza;      
-la scuola, l’università, i centri di ricerca, le istituzioni artistiche vengono continuamente defraudate delle necessarie risorse finanziarie, perché perdano la funzione promozionale;
- la partecipazione dei cittadini alla vita democratica e alle decisioni fondamentali viene scientificamente vanificata e annullata, perché lo Stato assuma l’aspetto di un’ azienda privata.
Non credo che ci sia bisogno di continuare nella rassegna delle storture, che stanno facendo precipitare il Paese non solo in un grave squilibrio economico, ma anche e soprattutto nel degrado civile, etico e mentale.
Chi vuole salvare l’Italia dal baratro deve sapere che, accanto ad una svolta politica radicale, serve una profonda rivoluzione culturale.
Bisogna lavorare intensamente per bloccare e chiudere le fabbriche dell’ignoranza, dell’illegalità, della corruzione e del malaffare e per alimentare e sostenere le fabbriche produttive di beni, di conoscenza e di risanamento etico e civile.
Bisogna rovesciare l’intreccio, per ridare alla conoscenza, alla morale e al senso civico il ruolo di motori propulsivi e regolatori del sistema economico e sociale.
L’economia globalizzata richiede una grande capacità competitiva ma, per possederla, occorre potenziare la conoscenza, la tecnica, la qualità, il rigore.
Lo stesso discorso vale per la politica: il centrosinistra, per competere vittoriosamente con il Berlusca, non deve rincorrere il Villari o il Calearo di turno, ma prospettare una visione alternativa della società. 

SI APPLICHI LA COSTITUZIONE


Gli articoli del titolo III della Costituzione sanciscono con chiarezza e lungimiranza i rapporti che devono sussistere, tra proprietà privata e Stato, tra imprenditori e lavoratori.
Nell’attuale fase storica tali rapporti sono in crisi, a danno dei lavoratori e dello stesso Stato.
A farla da padrone, in dispregio di ogni regola, sono i detentori del potere economico, nelle sue varie articolazioni.
Rispetto a questo stato di cose si chiacchiera a sbafo, da parte di politici, politologi,  economisti, giornalisti, ecc, ma si prescinde, quasi sempre, dalle indicazioni del dettato costituzionale.
Secondo la Costituzione (art. 41), l’iniziativa economica privata è libera, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Tale principio è così netto da essere supportato da un altro comma ancora più netto: “ La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
Gli articoli 42 e 43 ribadiscono i limiti della proprietà privata “ allo scopo di  assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti” fino al punto da prevedere che possa essere “espropriata per motivi di interesse generale”.
-Rispetto alla decisione di Marchionne di chiudere l’Irisbus di Valle Ufita, costruita, in larga parte con i soldi dello Stato, per andare a produrre pullman in Francia e Cecoslovacchia,
-rispetto alla migliaia di imprese italiane che ogni anno smobilitano per andarsene all’estero,
-rispetto alle migliaia e migliaia di capannoni che restano vuoti, dopo essere stati costruiti con i contributi dello Stato, c’è qualcuno che si ricorda delle suddette norme costituzionali?
Si assiste a sceneggiate a non finire, a sproloqui fantasiosi, a promesse inconcludenti, ma i nodi veri non vengono mai affrontati e sciolti.
Se lo Stato e le varie istituzioni vogliono affrontare veramente la situazione non possono fare altro che applicare le norme costituzionali e arrivare anche all’esproprio degli stabilimenti che vengono chiusi, dei capannoni che restano vuoti, delle aree attrezzate abbandonate.
Si tratterebbe, oltretutto, di un sostanziale recupero di ciò che è stato superficialmente dato!
Lo so che, con i tempi che corrono, questa può apparire una posizione politica anacronistica, ma occorre sapere che, per l’uscita dalla crisi e per la crescita, non c’è altra strada.
O vogliamo continuare a spendere i soldi della collettività solo per sostenere banche e lobby finanziarie che ci hanno portato al collasso?
A proposito, vorrei invitare i tanti sapientoni della nostra terra, che non la smettono di parlare a vanvera sullo sviluppo, a fare un piccolo sforzo e andare nelle varie aree industriali della provincia, per cogliere con mano l’abbandono in cui versano: l’unica cosa che resta, spesso, è l’illuminazione pubblica notturna di lampioni non ancora fulminati, su branchi di cani randagi, che camminano tra le sterpaglie o trovano riparo sotto le tettoie di qualche capannone abbandonato.
Troverete, cari signori, anche qualche macchina, ma abbiate l’accortezza di non avvicinarvi troppo, per non disturbare le coppie appartate. Sono ben altre le persone da disturbare!

CARI MERIDIONALI NIENTE E’ IMPOSSIBILE


Gli Italiani, soprattutto al Sud, sono in preda ad una crisi di fiducia e a una perdita di speranza.
Lo testimoniano molti dati:
-tre milioni di persone disoccupate sono così scoraggiate da non cercare più alcun lavoro,
-il primo partito italiano è quello degli astensionisti, che raggiunge il 36% della popolazione,
-l’Italia, con percentuali molto alte soprattutto nel Mezzogiorno, è tra i primi paesi dell’Ocse per abbandono scolastico,
-ogni giorno, in Italia, c’è un suicidio per perdita di lavoro e di ogni speranza di vita decente.
L’elencazione di dati catastrofici sullo stato d’animo degli Italiani e segnatamente dei meridionali potrebbe allungarsi molto, ma è meglio non insistere.
Al pessimismo dell’intelligenza bisogna accoppiare sempre, gramscianamente, l’ottimismo della volontà. Niente è impossibile per chi ha buona volontà e rispetto per la vita!
Bisogna solo lavorare e battersi, con tutti i mezzi, per rivoluzionare lo stato delle cose, imposto da un sistema di potere ingordo, iniquo e prepotente.
E’ giunta l’ora di correggere lo squilibrato processo unitario del Paese, che, negli ultimi anni, col governo Berlusconi-Bossi, ha assunto aspetti assolutamente insopportabili.
E’ giunta l’ora di reagire con forza e determinazione alla politica distruttiva del Mezzogiorno.
Bisogna smetterla di considerare semplici battute folcloristiche le terribili affermazioni  di parlamentari leghisti sui meridionali, accompagnate sempre  da altrettanto terribili provvedimenti governativi. Pensiamo, ad esempio, all’ultima farneticazione di Borghezio sulla necessità per lo Stato di vendere agli USA la Sicilia e la Campania, per risanare le finanze e liberarsi dal peso di questi territori.
Come si fa a non sentirsi umiliati al solo pensiero di aver tollerato come alte cariche del Governo e del Parlamento personaggi come Bossi, Maroni, Belsito, Rosi Mauro, ecc?
Cari Irpini, cari meridionali usciamo dallo sconforto, liberiamoci dalla sfiducia:
il Mezzogiorno può e deve diventare un’area dell’Italia e dell’Europa dinamica e propulsiva.
Lo è stata già tante volte, nel corso della storia. Ora, nel quadro dei grandi processi politici in corso in vari paesi del Mediterraneo, il nostro Sud può riassumere un ruolo attivo e determinante. Bisogna solo che, a livello istituzionale, si esca dalla logica del contingente e della semplice gestione del potere e, a livello culturale, politico e umano, si entri in una logica costruttiva e progettuale. Il Sud deve diventare un’area strategica nei rapporti commerciali, nella produzione di qualità, nella ricerca e nella innovazione.
Basta, perciò, con le sole vertenze contingenti ed occasionali; i meridionali abbiano l’ambizione di conquistarsi un’egemonia culturale nella costruzione di un progetto alternativo a quello che ha portato l’intera Italia nell’attuale palude.
Difendiamo con le unghie e i denti tutti i servizi che ci vogliono sottrarre, ma rendiamoci anche conto che queste nostre battaglie potranno avere qualche successo solo se viene rivoluzionato il processo politico in atto. E questo deleterio processo potrà essere invertito solo da una battaglia senza quartiere, per la conquista delle infrastrutture strategiche, che finora ci sono state negate e attraverso un piano organico, che faccia del Mezzogiorno il cantiere  della cultura e della ricerca, dello sviluppo tecnologico e della produzione eccellente, della logistica commerciale e dei rapporti diplomatici.