venerdì 19 agosto 2011

IRPINI RIDOTTI A GAMBERI


Il sistema economico e politico, negli ultimi tempi, sta costringendo, sempre di più, gli Irpini, ad andare all’indietro, come i gamberi.
I processi positivi, messi in moto, nei decenni scorsi, dai primi insediamenti industriali e dalla ricostruzione post-sismica, si stanno progressivamente  interrompendo.
In questa fase, a turbare la vita del nostro territorio sono particolarmente le vicende della Irisbus, della Almec, della FMA e di tante altre aziende.
I problemi del mondo agricolo non occupano lo stesso spazio mediatico, ma non sono certamente meno drammatici.
Rispetto a questo scenario economico, tanto precario, soprattutto per i giovani, c’è poco da stare allegri!
A pagare le conseguenze della crisi del processo industriale non sono solo i lavoratori direttamente interessati, ma tutti i cittadini e tutti i settori della vita economica e civile.
Questo andamento territoriale negativo, inquadrato nella crisi generale, che sta attraversando l’intero Paese, dà un colpo mortale non solo alla qualità complessiva della vita, ma anche alla   speranza di un futuro migliore.
In questo panorama, sinceramente, non può non colpire profondamente la reazione formale e insignificante di buona parte del sistema politico provinciale.
So perfettamente, per le varie esperienze politiche avute, che, in certi momenti, non è semplice fare scelte ben definite ed anche dirompenti, se necessario, ma mi sia consentito di manifestare tutto il mio sconcerto e sconforto, rispetto alle tante dichiarazioni fasulle e pubblicitarie, che, in queste settimane, siamo costretti ad ascoltare, rispetto a vicende drammatiche, da parte di esponenti politici assolutamente passivi ed inetti.
Per fermare il cammino a ritroso ed invertire il senso di marcia, il nostro territorio, come, del resto, tutto il Mezzogiorno, ha bisogno di una svolta radicale del sistema politico.
“Il toro bisogna afferrarlo per le corna” e non girarci inettamente attorno!
La politica ha il diritto-dovere di guidare e controllare i processi economici, che, pur privati e liberi, in base all’art. 41 della Costituzione, “non possono svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
I rappresentanti istituzionali del nostro territorio, anziché sostenere le azioni devastatrici di questo dettato costituzionale, da parte dei loro plenipotenziari, facciano, una volta tanto, sentire il loro peso.
Ricordino e facciano ricordare che le aziende esistenti nel nostro territorio, a cominciare dalla Irisbus, sono state insediate e costruite, in larga parte, con risorse pubbliche, per cui è assolutamente inaccettabile che gli attuali padroni facciano il loro “porco comodo”, in danno non solo della nostra comunità, ma anche dell’intero Paese.
Ricordino e facciano ricordare che i nostri nonni e padri hanno dato tanto al Paese con i loro sacrifici di emigranti e le loro rimesse, mandate in patria, alle loro famiglie.
Ricordino e facciano ricordare che, ancora oggi, tanti Irpini e meridionali mettono a rischio la loro vita, nelle forze dell’ordine e nelle missioni militari all’estero.
Le risorse e le energie materiali ed umane del nostro territorio potrebbero contribuire  a far uscire il Paese dalla crisi. I nostri rappresentanti politici lo facciano capire al supermiliardario Berlusca, ai leghisti e ai tanti nullafacenti, che ci governano. Facciano almeno questo!

domenica 7 agosto 2011

QUALCHE SPRAZZO DI LUCE NEL BUIO


La dolorosa vicenda della Irisbus di Valle Ufita sta facendo precipitare l’intera Irpinia in un buio pesto, non solo dal punto di vista economico e sociale ma anche sotto l’aspetto politico.
I lavoratori dell’azienda, a seguito dell’annunciata sua svendita, da parte della Fiat-Iveco,
si sono mobilitati, con grande senso di responsabilità, per conoscere i reali processi in atto, difendere il loro posto di lavoro, salvaguardare il futuro del territorio e non far perdere all’Italia l’unica produzione di autobus esistente nel Paese.
Per farsi ascoltare e aprire una discussione seria sul problema, hanno bussato, senza pregiudizi e paraocchi, a tutte le porte, ma di risposte ne hanno ricevute poche ed anche di scarso peso.  
Sconvolgente è stata soprattutto la non risposta del governo e dei ministri competenti.
L’incontro romano di mercoledì è stato, a dir poco, mortificante:
la sordità assoluta manifestata dai dirigenti dell’azienda e la sostanziale assenza del governo ha fatto cadere sulla vicenda una spessa e gelida coltre di nebbia.
L’impotenza manifestata dal ministro “spettatore” e dai parlamentari irpini, presenti all’incontro, non può che far crescere la sfiducia e il pessimismo.
A suscitare qualche speranza, in questo buio pesto, naturalmente, sono gli sprazzi di luce, che provengono dalla tenacia e dalla forza dei lavoratori, dal sostegno a questa lotta sacrosanta da parte di tanti amministratori, dalla maggiore attenzione, rispetto al problema, manifestata, negli ultimi giorni, da alcuni dirigenti sindacali e politici nazionali.
Nelle valutazioni dei lavoratori sono apparse incoraggianti le prese di posizione del presidente  della regione, Caldoro e dell’on. Umberto Ranieri, responsabile per il mezzogiorno del PD e segretario particolare del Presidente della Repubblica, Napolitano.
Piccoli raggi di luce, che, pure in assenza totale del governo nazionale, fanno sperare.
C’è solo da augurarsi, a questo punto, che la politica provinciale finalmente si scuota, nella sua interezza, per uscire dal losco gestionismo delle poltrone e per misurarsi seriamente su questo problema e sul futuro del nostro territorio.
Non posso fare a meno, in questo quadro, di richiamare l’attenzione di tutti su di un altro piccolo sprazzo di luce, che, in queste ore, si è acceso in Irpinia: l’accordo stipulato tra il Comune di Bisaccia e l’azienda Rende, per l’apertura di una fabbrica, capace di dare lavoro ad una quarantina di persone.
Alcuni mesi fa, in occasione dell’espletamento della gara di appalto, questo giornale promosse, nella sua sede, un incontro pubblico tra i protagonisti dell’iniziativa imprenditoriale.
Si svolse un confronto serio tra Pasquale Gallicchio, in rappresentanza del Comune Bisaccia, il proprietario dell’azienda, il manager Nicola Olivieri, artefice del percorso.
Gianni Festa e alcuni membri della redazione non si risparmiarono nel porre domande e sollecitare spiegazioni. Il tutto fu reso pubblico dal giornale e anche attraverso un servizio di Irpinia TV.
Le istituzioni sono rimaste insensibili, rispetto a quella iniziativa, come, del resto, rispetto a tutte le iniziative portate avanti sull’argomento dal sottoscritto e dal manager Olivieri.
Dopo il segnale dell’accordo, fatto due giorni fa a Bisaccia, c’è solo da augurarsi che qualcuno apra finalmente gli occhi. Il percorso indicato non è fantasioso!

martedì 2 agosto 2011

MANIE FARAONICHE FUORI TEMPO


Le opere colossali, costruite dai Faraoni d’Egitto, hanno segnato la storia dell’umanità, non solo per il loro spessore monumentale, ma anche per i condizionamenti psicologici che hanno determinato su molte persone.
La tendenza a costruire opere gigantesche, a costi spropositati, infatti, ha, spesso,  contrassegnato l’azione di molti governanti del mondo.
Nel corso del Settecento e dell’Ottocento addirittura si affermò e diffuse un gioco di carte, appellato “faraone”, proprio perché caratterizzato da una tecnica spropositata ed anche spregiudicatamente azzardata.
Questa tecnica, maniacalmente azzardata, purtroppo, caratterizza, sempre di più, anche la politica governativa del nostro Paese, ad opera del cavaliere (?) Berlusconi, che faraonicamente si pavoneggia a tal punto da autodefinirsi “unto del Signore”.
E questo avviene in un momento molto difficile, sotto ogni punto di vista, per l’Italia.
Così, da una parte, siamo costretti ad assistere a continui tagli a servizi, pensioni, stipendi, salari e a pesanti sforbiciate di fondi per opere pubbliche e infrastrutture, riguardanti soprattutto il Mezzogiorno, dall’altra veniamo sottoposti a bombardamenti mediatici, attraverso sofisticate tecniche pubblicitarie, su faraonici e costosissimi progetti.
Per avere un quadro chiaro della situazione pensiamo, ad esempio, a quello che è stato detto e fatto, per anni, rispetto al ponte sullo stretto di Messina, a quello che è stato fatto in Sardegna, in preparazione del G8, dirottato, poi, a L’Aquila, a quello che si sta dicendo e facendo sulla TAV in Val di Susa, ecc.
Si tratta di opere faraoniche, caratterizzate da un palese e insopportabile contrasto tra costi ed effettiva utilità, che dovrebbe far molto riflettere sui vistosi danni prodotti da certe manie di grandezza.  
Il quadro della situazione, naturalmente, diventa ancora più chiaro se a questo scenario ne contrapponiamo un altro:
- il taglio del Corridoio 1, Berlino-Palermo, ad opera della Commissione europea, nel silenzio assoluto del governo italiano,
- lo stato insopportabile in cui è tenuta, da decenni, l’autostrada Salerno-Reggio Calabria,
- l’abbandono a cui sembrano essere condannati i migliori porti italiani, a cominciare da quello di Gioia Tauro,
- il degrado di tutti i tipi di trasporto, riguardanti soprattutto il Mezzogiorno,
- l’asfissia dei rifiuti, che sta mortificando e distruggendo città come Napoli e Palermo,
- l’inquinamento che sta portando alla rovina tutte le nostre spiagge marine e i nostri fiumi.
A questo punto, forse, è meglio non prolungare l’elencazione dei mali, non solo perché il quadro della situazione è già abbastanza chiaro, ma anche per non correre il pericolo di cadere nella depressione.
A questo punto, però, è anche necessario non limitarsi a descrivere e denunciare la situazione, ma interrogarsi sul perché, in uno Stato democratico, si sia potuto arrivare a tanto.
Per gli schiavi, che erano costretti a lavorare per i Faraoni, non era facile disobbedire e ribellarsi. In uno stato democratico le cose stanno diversamente. Certo, anche oggi, il potere ha molti strumenti di asservimento, a cominciare da quelli mediatici, ma i cittadini, se vogliono, hanno tante possibilità di difendere la propria dignità.
Basta credere in se stessi e non scimmiottare e venerare le “mezze calzette”, che pretendono di spacciarsi per nuovi Faraoni.