martedì 22 novembre 2011

RIUNIFICARE L’ITALIA


La costituzione del Ministero della Coesione Territoriale, nel governo Monti, è un segnale di notevole importanza, che non va sottovalutato.
Una delega con questa dicitura esisteva già nel governo Berlusconi, affidata al ministro Fitto,, ma nessuno se ne è mai accorto, perché, in quel governo, la politica dello squilibrio territoriale, coperta dalla retorica del federalismo, l’ha fatta da padrona.
Non è un caso che l’ex ministro leghista, Calderoli, proprio rispetto alla costituzione di questo Ministero, abbia immediatamente “sparato” parole velenose: ”siamo alla notte fonda, sono felice di votare contro la fiducia”.
Non credo che queste parole, a cui, dopo l’intervento, in aula, del Presidente del Consiglio, ne sono seguite altre, altrettanto pesanti, debbano suscitare molta meraviglia; dai leghisti, soprattutto ora che hanno scelto di eccitare il proprio elettorato, dall’opposizione, bisogna aspettarsi di tutto e di più.
Quello che i cittadini italiani, a cominciare dai meridionali, devono cogliere è il messaggio politico insito nella scelta di avere, a 150 anni dall’unità del Paese, un Ministero di questo tipo.
Dopo tanti errori, fallimenti e prevaricazioni, nei confronti del Mezzogiorno, la costituzione di questo Ministero può esser un’occasione importante per il futuro del Paese!
Altro che la tremontiana banca del Sud !
Non è il caso, comunque, di farsi molte illusioni, perché siamo in un periodo di crisi profonda e perché il governo Monti sarà costretto a vivere quotidianamente sotto la spada di Damocle berlusconiana, ma sarebbe sbagliato non fare ogni sforzo, per avviare un nuovo corso nella politica, in direzione di un processo di coesione territoriale.
Il Sud ha dato tanto al Paese, nelle guerre e nelle fasi migratorie, e continua a farlo nelle  attuali missioni di pace, nei servizi di sicurezza, nel mondo del lavoro, ecc, perciò va messo, una buona volta e per sempre, sullo stesso piano della altre regioni d’Italia.
Bisogna certamente estirpare nel Mezzogiorno la “mala pianta” della gestione clientelare del potere, il pigro attendismo, lo spirito rinunciatario, che hanno fatto sempre tanto comodo ai poteri dominanti, ma, ad un tempo, bisogna anche contrastare con vigore e decisione ogni forma di politica divisoria e prevaricante.
L’impegno nazionale del nuovo governo dovrebbe, innanzitutto, essere volto a:
- recuperare i fondi FAS, che il governo Berlusconi, a trazione leghista, ha sottratto alle aree sottosviluppate del Sud, per soddisfare le pretese elettoralistiche bossiane;
- mettere a disposizione la quota di risorse finanziarie nazionali, per utilizzare tutti i fondi europei, che finora sono andati perduti proprio per la scelta scellerata del nostro governo di non fare la sua parte;
-riequilibrare in maniera rigorosa la ripartizione dei fondi nazionali, per al realizzazione di opere pubbliche, infrastrutture e servizi.
C’è tanto altro da fare per attivare un processo di coesione territoriale, ma si comincino a fare almeno le cose indispensabili.
Se il governo tecnico che si è costruito desse avvio ad un processo di questo tipo si classificherebbe come il governo più politico ed equo della storia italiana.
Non è facile immaginare una cosa di questo tipo, ma la creazione di un Ministero di Coesione Territoriale e l’uso della parola coesione, utilizzata da più ministri, suscitano qualche speranza.

domenica 13 novembre 2011

NON E’ FACILE RICOMINCIARE


La fine del governo Berlusconi sembra segnata, anche se non sono affatto da escludere manovre perniciose e colpi di coda dell’ultima ora.
L’evento, vista la situazione in cui siamo arrivati, deve essere certamente salutato con sollievo, ma non mi sembra che ci siano le condizioni per essere ottimisti ed immaginare l’avvio immediato di una rosea stagione. Il Paese, in questi anni, non è andato solo in ginocchio sotto l’aspetto economico e sociale, ma è precipitato anche in una palude etica e mentale, da cui sarà molto faticoso uscire.
La crisi di sistema, che ha investito tutto il mondo capitalista occidentale, in Italia, ha assunto un aspetto devastante, perché si è intrecciata con un’azione politica distruttiva della morale, della regole, del senso civico, della democrazia.
Il lavoro da fare, pertanto, non dovrà riguardare solo il campo economico, ma anche quello civile, etico, culturale. La strada per ricominciare, perciò, non è facile trovarla e neppure percorrerla, perché i macigni ostativi disseminati in questi anni sono tanti.
Per uscire dal pantano non bastano salvagenti rattoppati, ma serve una rivoluzione culturale, capace di mettere in discussione l’intero sistema di vita, costruito dal mercato senza regole, dalla finanza spregiudicata, dal liberismo sfrenato, che, in Italia, attraverso il conflitto di interessi tra affarismo e potere politico, ha  assunto aspetti patologici.
E così, oggi, l’intero Paese sembra trovarsi nelle condizioni di un territorio colpito da una devastante calamità naturale.
Bisogna, pertanto, fronteggiare l’emergenza, impegnarsi nel risanamento, attivarsi nella ricostruzione. Si tratta di un’azione molto complessa, che richiede senso di responsabilità, spirito di sacrificio e voglia di cambiamento.
Il popolo italiano ha dimostrato, in molte occasioni, di avere le capacità di liberarsi dai lacci e  imboccare un nuovo percorso.
Le recenti prese di posizione del mondo imprenditoriale, commerciale, cooperativo, sindacale, bancario, ecc, rispetto alla crisi e al governo, testimoniano che anche i soggetti più irretiti dal sistema di potere, sono riusciti ad aprire gli occhi.
Ora spetta al mondo politico il compito di saper interpretare tutti i messaggi che vengono dalla società e trovare la forza di riscattarsi dai ritardi e dalle negligenze.
E’ certamente opportuno verificare se ci sono le condizioni per la costituzione di un governo di salvezza nazionale, per fronteggiare l’emergenza, ma non credo che sia questa la scelta decisiva, per cambiare le cose. Onestamente non credo nemmeno che serva la ricerca di personaggi miracolosi, per avviare un nuovo corso.
Servono poche cose, chiare e decisamente alternative, rispetto  a quelle messe in atto finora.
In campo economico bisogna puntare sul lavoro e sulle attività produttive e di largo impatto sociale, ricercando le risorse attraverso la lotta all’evasione fiscale, il prelievo sui grandi patrimoni, la redistribuzione delle ricchezze, in senso egualitario.
In campo etico bisogna ripristinare il rispetto delle regole, della legalità, dello Stato.
In campo sociale bisogna puntare sulla formazione, sulla ricerca, sulla valorizzazione delle migliori risorse ed energie, nel rispetto dei diritti di tutte le persone.
In campo politico bisogna ripristinare un rapporto proficuo tra cittadini e loro rappresentanti, cambiando la legge elettorale e risanando istituzioni e sistema di potere.

giovedì 10 novembre 2011

LA LEZIONE DELLA VICENDA IRISBUS


Quando scoppiò la vicenda della IRISBUS, su questo giornale, scrissi un articolo nel quale sostenni che, sul problema, i politici irpini venivano messi alla prova.
Mi permisi anche di dare qualche suggerimento e sollecitare un impegno ed uno sforzo straordinario di tutti, a prescindere dalla collocazione politica.
Lo feci nella consapevolezza della gravità della situazione.
Nel corso di questi mesi, la lotta tenace dei lavoratori e di vari loro sostenitori ha alimentato qualche speranza, ma, alla fine, le cose sono andate male, perché il potere politico, a cominciare dal governo nazionale, in sostanza, ha lasciato all’azienda l’assoluta libertà di fare tutto quello che voleva.
La prova, dunque, è risultata negativa e fallimentare  non solo per i politici irpini ma anche per tutto il sistema politico italiano.
Ancora una volta il potere economico e padronale ha dettato legge e ha ridotto la politica ad un sistema subalterno.
A questo punto sarebbe giusto e auspicabile che tutti coloro che sono venuti a fare la “passerella” davanti ai cancelli della fabbrica traessero le dovute conclusioni: servirebbero, se non altro, a dimostrare la sincerità (?) dei loro atti, in merito al problema.
A non restare indifferenti e passivi, rispetto alla conclusione drammatica della vicenda, dovrebbero essere soprattutto i rappresentanti politici irpini.
Bisogna avere la consapevolezza, infatti, che, dopo la chiusura della IRISBUS, la vita del nostro territorio, se non ci saranno immediate correzioni, imboccherà un corso molto più disagiato e triste, rispetto a quello perseguito negli ultimi decenni.
Non è, pertanto, augurabile che si perda tempo a disquisire su questa o quella scelta fatta dai lavoratori e dal sindacato: oggi tutti i cittadini irpini, a cominciare dai politici e dai soggetti che svolgono ruoli istituzionali, devono sentirsi impegnati a salvare e rafforzare il processo industriale del nostro territorio.
Non si può e non si deve tornare indietro!
Si smetta, perciò, di perdere tempo sulla gestione del potere e sulla distribuzione delle poltrone e si riapra un confronto serrato sulla valorizzazione delle nostre risorse e potenzialità.
Ritorni la vera Politica, quella capace di indicare un percorso non solo per le nostre terre, ma anche per l’intero Mezzogiorno.
Scrolliamoci di dosso tutte le arretratezze mentali, i ritardi culturali, i pesi del vecchio sistema di potere e mettiamo in campo idee e proposte.
Bisogna aprire una robusta vertenza, capace di coinvolgere l’intera società, per costringere tutte le istituzioni, a cominciare dal governo nazionale, a misurarsi su cose concrete.
Nessun capannone, nessun polo industriale attrezzato, a cominciare da quello della IRISBUS, deve essere lasciato in abbandono: il governo e tutte le istituzioni hanno il dovere di verificare tutte le proposte.
Bisogna trovare il modo per richiamare sul nostro territorio la venuta di tutte le aziende possibili. E’ possibile farlo; non è una fantasia! L’ho direttamente sperimentato da parecchio tempo, senza trovare grande ascolto.
Ora non c’è più tempo da perdere! E’ inaccettabile che, ogni anno, migliaia di imprenditori lascino l’Italia per andare  all’estero e la politica italiana non faccia niente per invertire questo processo. Il Mezzogiorno ha tutti i titoli per diventare un’area appetibile, per investimenti produttivi.

mercoledì 2 novembre 2011

DOVE STA LA VERA VIOLENZA


Dopo i tafferugli e le azioni violente, messe in atto, a Roma, dai black  bloc , in occasione  della manifestazione internazionale degli “indignati”, si è scatenata una gara tra i politici, i giornalisti, i cittadini benpensanti(?),  per trovare le parole di condanna più dure, nei confronti degli attori della violenza.
Che i protagonisti di quella barbara e sciocca violenza debbano essere aspramente condannati è un fatto logico e scontato:
1-    perché la violenza in sé è sempre sbagliata, soprattutto se non ha un carattere chiaramente liberatorio, riconosciuto dalla maggioranza della popolazione;
2-    perché la violenza di sabato 15 ottobre si è consumata contro persone senza colpe e a danno di una pacifica manifestazione di protesta, contro le ingiustizie del mondo;
3-    perché, in sostanza, quella violenza ha avuto un carattere e un intento mediatico e pubblicitario, perfettamente rientrante nello schema di vita dei poteri forti e vessatori.
Rispetto a questo stato di cose, sarebbe doveroso, però, porsi qualche domanda:
- quella dei black bloc è l’unica e la peggiore violenza in atto, oggi, in Italia e nel mondo?
- che cosa bisogna fare, perché emerga, nella coscienza popolare, la spietata e camuffata violenza, esercitata quotidianamente sulla gente comune da buona parte dei poteri forti?
- che cosa fanno i tanti cultori (?) dell’ordine e della pace sociale, per arginare il sistema politico ed economico, che, con inaudita violenza, genera tante ingiustizie e divisioni, nella società?
Personalmente queste e tante altre domande me le sono poste da molti anni e sono arrivato alla conclusione che la vera e più feroce violenza sta nel sistema di potere economico e politico che domina i processi di vita, nel mondo.
C’è bisogno di fare qualche esempio?
Sul pianeta terra, centinaia di migliaia di persone muoiono quotidianamente di fame, di sete, di malattie, perché una cerchia ristretta di speculatori ha sottoposto ai propri interessi e profitti l’esistenza dell’intera umanità.
La stessa vita sulla terra è messa in pericolo da un sistema produttivo e consumistico, impiantato sullo sfruttamento spasmodico e assurdo di tutte le risorse e sull’inquinamento dell’ambiente.
In Italia, ogni anno, più di 500 miliardi di euro vengono sottratti allo Stato e alla collettività, attraverso l’evasione fiscale, il lavoro nero, i loschi traffici della malavita organizzata, con conseguenze sempre più disastrose sui servizi e sulla qualità della vita della popolazione.
Nella vita quotidiana migliaia e migliaia di cittadini perdono il posto di lavoro, vedono messi in discussione i loro più elementari diritti, vengono  plagiati e inquinati da un vento informativo e culturale(?) , pilotato da un sistema di potere onnivoro.
In questi ultimi mesi, Marchionne e similari stanno chiudendo fabbriche e buttando in mezzo alla strada migliaia di lavoratori. Pensiamo alla IRISBUS!
Serve continuare nella rassegna delle porcherie? Non mi sembra necessario.
Piuttosto mi pongo la seguente domanda: non è questa la più schifosa delle violenze?
Essendone pienamente convinto, mi permetto di chiedere ai tanti cultori dell’ordine e della pace sociale, che appaiono tanto severi nei confronti delle legittime manifestazioni di protesta: perché tenete gli occhi chiusi rispetto alla violenza dei poteri forti?